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"Il Processo" di F. Kafka

Creato il 24 marzo 2011 da Bens
Io appartengo a quella categoria di persone che ricorda sempre ciò che sogna: i miei sogni sono di solito molto chiari, pieni zeppi di riferimenti alla Cabala o alla metafisica campagnola. Non faccio incubi apocalittici, mi limito alle apparizioni di colonie di ferocissime lumache che lentamente camminano sulla mia coperta per raggiungere il mio viso e seppellirlo sotto il peso dei loro corpicini viscidi e umidi.
Poi ho letto Kafka ed ho totalmente rivalutato il mio intero immaginario onirico.
Riesci ad immaginare l'impotente rassegnazione ad una cosmica ingiustizia? Un'ingiustizia che riguarda te solo, di cui dovrai portare il pesante fardello nella più sconfortante solitudine? Prova ad immaginarti combattivo all'inizio, per poi abbandonarti agli eventi nell'indifferenza civile, senza nemmeno la forza di aggrapparti ad una pallida speranza. Aggiungi pure che la colpa non esiste, ti è nascosta da tutti, è celata tra le chiacchiere, ma lo sei, sei colpevole. Finisci con il sospettarlo tu stesso. Un incubo da cui non puoi fuggire perchè esiste un'intera società che trama per un tuo disgraziato epilogo. Arrivi a sperare in una condanna che, nella sua insensata emanazione, porrebbe almeno fine allo stillicidio.
Ecco, questo è Il Processo. L'imputato non sei tu, o forse sì, tuttavia porta un altro nome, Josef K. E' lui per caso, sarei potuta essere io con la stessa innocente semplicità. Ogni mattina, d'altronde, temo di essermi trasformata in uno scarafaggio. Non ci vuole un genio per cogliere la denuncia, nemmeno tanto sottile, che Kafka propina: sarebbe potuto essere il solito libro sovversivo e comunista, uno di quelli sdoganati anche dai neo-sovversivi e malinconicomunisti. E invece è un incubo, con una fine da incubo (che, onestamente ho augurato a K. per tutto il libro, ma che ti colpisce a bruciapleo, raggrinzendoti l'epidermide mentre ti invita ad espellere i tuoi schifosissimi succhi gastrici da un'altra parte, grazie), con personaggi da incubo. Nulla è come dovrebbe, sono tutti matti da legare, ogni schema logico è ribaltato con presuntuosa destrezza. 
E allora mi sorge il dubbio che mi sorse con il suicidio di Foster Wallace: non è che per caso dovremmo cominciare a rivalutare l'intera storiella del comunemente accettato senza riserve? Se tutti sono matti, è normalissimo essere matti, quindi la normalità è un'appendice di una chiara constatazione di fatto, non è più una caratteristica distintiva, ma un pozzo senza fondo di cose uguali, un gioco di ruolo preso troppo sul serio. Voi magari c'eravate arrivati prima di me e senza leggere Kafka, ma ho sempre fatto quel che ho potuto.
Kafka aveva il pregio di essere un matto in un mondo di gente ricolma di una grigio senso dell'appartenenza, ciò lo ha portato a scrivere libri strani ma limpidi e cristallini come la follia di un kamikaze che si fa esplodere nel vagone del treno di una metro per cui, con molta probabilità, aveva acquistato un biglietto. La mia capacità di interagire con le persone sta cominciando a subire imbarazzanti deficienze comportamentali, quindi o la smetto con Kafka o mi barrico in casa per 15 anni.
Si accettano consigli o il numero di un analista. B.

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