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In cerca di qualcosa da scrivere

Da Marcofre

(…) non dovrebbe essere lo scrittore a gettare la lenza, in cerca di qualcosa da scrivere.

È una frase di Raymond Carver.

Eppure, chi scribacchia, non si sente un po’ così? Forse. Forse una volta agivo in questa maniera. È un errore? Eccome. Immagino che sia un modo di agire sballato, perché scegli. Di fatto non racconti una storia, ma illustri quello che ti sta a cuore.

Come? Non è poi così male? Sono persino disposto ad accettare questo punto di vista, ci mancherebbe. Non è che devono scrivere solo alcuni, e gli altri zitti e giù le mani dalle tastiere, o vi stacco le dita a morsi.
Benché a volte una minaccia del genere potrebbe persino servire…

Raccontare una storia significa anche ospitare punti di vista distanti dai propri. Questo porta i lettori ad avere di chi scrive un’immagine sbagliata: immaginano che costui o costei stia dalla loro parte. La pensi come loro.

Un altro errore. Figlio di quell’idea che ritiene la scrittura la “semplice” arte della trascrizione delle proprie emozioni, esperienze, idee. Non è così, mi spiace.

È necessario fare strada a un nuovo concetto: quello dell’invenzione. Credo di aver già scritto qualcosa al riguardo, in passato. Adesso c’è questa moda della creazione, della creatività; già lo scrittore Giuseppe Pontiggia avvertiva del rischio di usare il termine “creativo” a proposito della scrittura. Perché sposta l’attenzione dall’opera, a chi la produce.

Invece il termine inventare che ci arriva dal latino trovare, ha un bel altro spessore. Perché all’improvviso abbiamo questa immagine, pallida, pure tremolante. Bene; l’abbiamo trovata e adesso? Non resta che mettersi al lavoro, ma mentre il creatore può tutto, chi inventa, si deve rimboccare le maniche e lavorare duro.

Il creatore non ha limiti, chi inventa ci fa a pugni ogni giorno, propri si capisce. Ecco perché non esistono capolavori perfetti: basta farsi un giro alla Cappella Sistina, per scovare gli errori di prospettiva di Michelangelo.

Potrei ripetere per l’ennesima volta il concetto dell’umiltà. Vale a dire che chi scrive si mette al servizio della storia, quindi non va a fare il safari. Come? Ah, vero: in qualche post precedente parlavo di caccia, di inseguire la preda nel bosco e via discorrendo. Mentre qui al contrario starei affermando qualcosa di ben diverso.

C’è a parer mio una bella differenza tra chi getta la lenza, e chi si trova a tu per tu con un’immagine e decide di investire le sue energie su di essa. L’immagina arriva, mica viene cercata. Nemmeno si presenta su appuntamento.

Quando arriva, non sai dove ti porterà. Magari ti perderai, però ti muovi. Se al contrario vai alla ricerca della giusta storia, alla fine la troverai. Sarà forse un successo, chi può dirlo? Ma non ti sorprenderà. Piacerà ai lettori, proprio perché sarà quello che essi volevano e si attendevano.

Non è meglio turbarli?


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