Mi vedo in una casa antica, lontana, le luci sono lievi nello spettro, ma hanno una consistenza caotica, densa, che si mischia all’aria e alla polvere e al mio respiro.
Sono seduto. A una scrivania, uno scrivano forse, libri, a milioni di miliari tutti intorno a me.. una biblioteca antica che inebria il mio naso confuso con il suo odore inconfondibile di pagine ingiallite.. carte manoscritte sparse davanti a me, imbrattate con rabbia e devozione. Sento. Sento. Sento. Sento di essere vivo! Vivo! Che strana sensazione.. vivo, mentre tutto sembra un sogno di Ade mentre ascolta la Musica di Orfeo e piange. Sono ancora seduto e ho paura, una paura che mi rallegra, rallegra a dismisura! Sono vivo.. e non esiste morte! Paura.. scema piano e resta solo il candelabro sfocato dinanzi ai miei occhi. Sembra una casa coloniale. Credo di essere negli Stati Uniti, come avevo previsto, sul finire di due secoli fa. Mi alzo, con fatica. Il mio corpo, mio.. si.. mai aggettivo possessivo fu usato meglio.. il mio corpo.. ma è inutile ricordare adesso, adesso bisogna capire. Una donna. Mia madre entra nella stanza, è molto bella, molto anziana. Ha uno sguardo smarrito e mi fissa con silente terrore. Capisco. Vedo il mio riflesso in uno specchio posto alla mia sinistra, i miei connotati sono deformati da un emozione unica e indefinibile. Riesco a vedere meglio finalmente, adesso, con i miei occhi.. è lei.
<< Howard, caro.. cosa ti turba in questo modo? Hai fatto ancora quegli orripilanti sogni? Non dovresti addormentarti in biblioteca, sai che non voglio.. tu sei fragile, hai bisogno di riposare bene o avrai un crollo nervoso prima o poi.. guardati.. >>
<< Sto bene, Madre. Lasciami solo. >>
Ma non fui io a risponderle e, in quell’attimo persi il contatto con il mio corpo. Vidi cose che non posso farvi comprendere. Ci ero riuscito.. e forse avrei potuto riuscire ancora.
Ma non da solo. Avevo perso il contatto, avevo perso la coscienza e il controllo del mio corpo.
Avevo bisogno d’aiuto. Dovevo rivolgermi al dott. Duchovny, non avevo altre alternative, necessitando di una guida e di un maestro che mi insegnasse il controllo. Non fu facile mettermi in contatto con lui. Convincerlo poi, lo fu ancora meno, appena comprese chi sono e, soprattutto, chi ero stato. Lui era uno dei Pochi, e come ben sapevamo entrambi, una sola cosa fa paura a uno dei Pochi, e io la usai per costringerlo.. tutto il resto non contava.. solo Io adesso e sempre..
La vecchia serva si spostava con sicurezza nel groviglio banale della vita, lungo il mondo come nei corridoi di un vecchio palazzo nobiliare, i suoi capelli bianchi, nello stretto chignon, gli abiti di sobria mimetizzazione. Non potevi riconoscere la vecchia serva affidando missione alla tua capacità di ricordarne il viso, perché sfuggenti i suoi lineamenti avevano, nell’ anormale comunità, le sembianze di come ogni viso. Tuttavia i suoi occhi grigi, quelli e, i suoi sguardi svuotati di vita nell’ enormità di conoscenza, erano l’unico marchio che i Pochi che della serva conoscono la padrona, chiamavano Cerhaim con un soffio di voce, prima di morire.