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Indiana, Turner e Titolo: tre parole che possono convivere?

Creato il 07 marzo 2014 da Basketcaffe @basketcaffe

Come ogni anno la trade deadline ha portato un po’ di sana pazzia all’interno della NBA. Tra un rincorrersi di voci e l’altro, tra smentite, conferme e rilanci, lo scambio che potrebbe cambiare la storia di questa (e non solo) stagione è arrivato. Stiamo parlando della trade che ha portato Evan Turner (e Lavoy Allen) a agli Indiana Pacers e Danny Granger per qualche giorno a Philadelphia. Se l’ex numero 33 dei Pacers, infatti, ha salutato la Città dell’Amore Fraterno senza neanche vestire la canotta dei Sixers per accasarsi a Los Angeles, sponda Clippers, il nuovo numero 12 di Indiana sarà decisivo nella corsa al titolo della sua nuova squadra. Quella che ci apprestiamo ad analizzare è una trade più complessa di quanto possa sembrare e, come ogni scambio, l’analisi deve essere effettuata con due criteri: economico e tattico.

La situazione salariale dei Pacers era e rimane complessa: era praticamente certo che in estate almeno uno tra Granger e Stephenson si sarebbe accasato da un’altra parte data l’impossibilità di Indiana di trattenerli entrambi a cifre importanti, perciò Bird ha preferito liberarsi di Granger e dei suoi 14 milioni firmando Turner, che ne percepirà 8.7 l’anno prossimo da restricted free agent. I restanti 5 milioni saranno solo una parte di ciò che verrà offerto a Stephenson, saranno maggiorati infatti dai 3 di Lavoy Allen, dall’1 di Bynum e dall’1.3 di Rasual Butler, tutti giocatori che verosimilmente non verranno confermati la prossima stagione. Così facendo i Pacers raggiungerebbero quegli 8-9 milioni che in molti sostengono sia la cifra che Born Ready richiederà sul mercato. In questo modo Indiana potrebbe di fatto mantenere Stephenson avendo già in casa Turner che andrebbe a coprire il buco lasciato da Granger.

Se dal punto di vista economico il giudizio sulla trade è tutto sommato positivo, l’aspetto tattico nasconde più di un’insidia. Non ci sono dubbi sul fatto che oggi Turner sia sicuramente un upgrade rispetto a Granger che, causa infortuni (112 partite saltate nelle ultime due stagione e mezzo), è lontano parente del giocatore che nel 2009 è stato All-Star. L’ex Phila produce infatti 17.9 ppg, 6.2 rpg e 3.7 apg con il 42.9% dal campo, ma questi numeri potrebbero essere gonfiati dal fatto di giocare in una delle peggiori squadre della Lega. Inoltre Granger conosceva alla perfezione compagni, ambiente e schemi, mentre Turner potrebbe incontrare difficoltà d’inserimento che i Pacers non possono permettersi. Come si comporterà inoltre in uscita dalla panchina, dato che negli ultimi due anni a Phila è sempre partito dal quintetto? Sono domande lecite, alle quali solo il tempo darà risposta. Dal punto di vista tecnico-tattico sono stati toccati gli ingranaggi di una macchina che girava alla perfezione e, a questi livelli ciò rappresenta un pericolo. Mai come quest’anno infatti i Pacers hanno l’opportunità di sollevare per la prima volta il Larry O’Brien Trophy. Questo perché il gruppo è arrivato probabilmente ad esprimere il suo massimo potenziale e pare abbia anche fatto il giusto salto di qualità dal punto di vista mentale per battere finalmente gli Heat. Non dovessero farcela neanche quest’anno, allora sorgerebbero leciti dubbi che questa squadra possa mai arrivare fino in fondo.

West e Scola sono prossimi a compiere 35 anni e la loro benzina sta pian piano terminando, George non ha nascosto il desiderio di tornare nella natia California un giorno o l’altro e senza un anello al dito il desiderio aumenterebbe, l’asso nella manica Bynum è utilizzabile solo fino a giugno e come detto, non è certo che Stephenson resti un Pacer anche in futuro. Indiana probabilmente ha di fronte il treno giusto sul quale salire per arrivare dove non è mai arrivata prima d’ora, e sta solo a Vogel e ai suoi ragazzi decidere se salirvi o meno per portare nello State of Basketball il titolo NBA per la prima volta nella storia. Sarebbe bello vero?


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