Magazine Opinioni
di Maria SerraLaguerra in Libia e la mancanza di coordinamento politico-militare fra gli Statimembri dell’Unione Europea hanno messo in luce la debolezza politicadell’architettura comunitaria e il sostanziale insuccesso dell’ambiziosoprogetto di Partenariato euro-mediterraneo che nel 1995 passò alla storia comeProcesso di Barcellona. Neanche l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona hasaputo offrire una linea comune non tanto in materia di difesa, quanto in unaprospettiva di rilancio del Vecchio Continente in un quadro delle relazioniinternazionali multipolarizzato e fortemente globalizzato. Ancora una volta lestrade che si aprono dinanzi ai leader europei sono due: quella più difficile,ossia la formulazione di una nuova e originale strategia effettivamente comuneverso il Mediterraneo e il Medio Oriente che permetta all’UE, data la suaposizione geograficamente strategica, di giocare un ruolo chiave nel processodi democratizzazione del mondo arabo, nonché di aprire una nuova epoca dicooperazione in materia economica e, soprattutto, in materia di sicurezza;quella più “semplice” – nel senso che è lecito supporre che possa prendere ilsopravvento in un momento di incertezza – relativa ad una prospettiva“individuale” da parte dei singoli Stati membri, che, a seconda degli interessie degli obiettivi di medio-breve termine, potrebbero intavolare nuovi rapportibi-multilaterali con i Paesi extra-europei.L’Italia,in questo secondo contesto, ha l’opportunità di completare un percorso avviato– attraverso una diplomazia di tipo “commerciale” – nell’ultimo decennio, ossiaun ri-orientamento geopolitico nella direttrice orientale/sud-orientale del marenostrum. In questo senso, il nostro Paese avrebbe l’opportunità di attuare unapolitica estera non solo più autonoma dalle principali direttrici estere(quella statunitense e quella russa), ma che le permetta un rilancio dei proprirapporti regionali e, soprattutto, internazionali. Si tratta di unaprospettiva, cioè, che permette una proiezione al di fuori degli stretticonfini occidentali e si allarga, dunque, dal mondo arabo a quello asiatico. LaTurchia, in questo contesto, rappresenta la porta d’accesso per l’Italia ad unapossibile nuova epoca di relazioni internazionali.LaTurchia si trova al centro di una “croce geopolitica” regionale delicata quantostrategicamente essenziale: ad ovest e a nord-ovest è rivolta al Mediterraneo eall’Europa balcanica e danubiana; a sud e a sud-est è rivolta verso la Siria,il Vicino Oriente, la Mesopotamia e la regione del Golfo; ad est e a nord-est èproiettata verso il Caucaso, le regioni musulmane dell’ex URSS e il Mar Nero.Da questo punto di vista la Turchia rappresenta un punto d’incontro traciviltà, culture, religioni diverse (l’Europa, il mondo arabo, il mondoasiatico e il mondo slavo), ma anche una regione di scontro tra popolazioni esistemi economici, politici e sociali che, se gestiti, offrono una miniera diopportunità di rilancio, da ogni punto di vista. Irapporti fra turchi e Occidente, d’altra parte, risale all’epoca dell’ImperoRomano e alla diffusione della sua cultura e dei suoi istituti nella Penisolaanatolica. In particolare, i rapporti con l’Italia sono stati, pur fra alti ebassi, sempre forti, anche quando Bisanzio si contendeva con la RepubblicaMarinara di Venezia il controllo del Mediterraneo, o ancora, quando il nostroPaese occupò nel 1911-12 la Tripolitania, la Cirenaica e il Dodecaneso.Inoltre, a partire dal 1923, con la nascita della Repubblica turca e sottol’impulso di Ataturk, lo sguardo politico turco è sempre stato rivolto versol’Occidente, modello di modernizzazione e democratizzazione, che ha consentitoad Ankara per tutta l’epoca successiva al secondo conflitto mondiale di essereattore fondamentale nel mondo bipolare e di partecipare (oltre che al Patto diBaghdad) a tutte le organizzazioni occidentali, dalla NATO al Consiglioeuropeo. La caduta del Muro di Berlino ha fatto perdere alla Turchia il ruolodi interlocutore chiave nei rapporti Est-Ovest, sicchè essa è stata libera dioperare un proprio ri-orientamento geopolitico, soprattutto nei rapporti con laRussia e con il Medio Oriente. L’Italia, dal canto suo, caratterizzata neiprimi anni Novanta da una politica estera incerta, ondivaga e, secondo ladefinizione di Sergio Romano, “microgollista” (contenuta, cioè, in uno spaziogeografico ristretto), solo all’inizio del nuovo secolo si è proposta comepaladino dell’ingresso di Ankara nell’Unione Europea, allacciando un partnershipstrategica di tipo economico, che, data l’attualità internazionale, puòassumere una connotazione geopolitica.Esistono,difatti, diverse affinità fra i due Paesi: entrambi sono penisole proiettatenel Mediterraneo e che, sebbene abbiano alle loro spalle due contesti diversi(l’Europa continentale e l’Asia) hanno in comune il bacino mediorientale eafricano. Non di meno, il punto d’incontro è rappresentato dall’area balcanicasulla quale Roma e Ankara stanno lavorando congiuntamente per garantirne lastabilizzazione politica (soprattutto in Bosnia-Erzegovina) e il processo diinclusione euro-atlantica. L’aspetto economico-commerciale è di altrettantaimportanza: l’economia turca è, infatti, giovane, dinamica e in forte espansione.L’Italia è il quarto partner commerciale, con oltre 800 imprese che nel 2008 sisono aggiudicate circa il 40% degli appalti pubblici vinti da società straniereper un valore di 626 milioni di euro. Ma la Turchia assume un rilievoparticolare anche nell’ambito della diversificazione delle fonti energetiche,visto che si trova all’intersezione del mercato europeo e i grandi produttoridi idrocarburi – Russia, Paesi del Caspio e del Medio Oriente –. Attraverso Enied Edison, il nostro Paese sta avendo la possibilità di creare una rete diinfrastrutture che alleggeriscano la nostra dipendenza da Mosca e dalla stessaLibia. Anche la cooperazione in campo militare è molto forte: la Turchia è ilmaggior acquirente delle armi italiane, il 35,6% dei nostri armamenti èdestinato al mercato anatolico, per un totale di 1092 milioni di euro. Inparticolare il governo turco acquista elicotteri di combattimento dell’AugustaWestland, utilizzati per ricognizione tattica e attacco bellico. Inoltre, unacooperazione con Finmeccanica porteràentro il 2013 alla costruzione del primo satellite militare turco (Gokturk) ascopi di intelligence militare.Romae Ankara, non di meno, condividono unapolitica di soft-power, orientata al multilateralismo nelle relazioni internazionalie che cerca una via indipendente dalle scelte statunitensi. L’asseturco-italiano, in questo senso, rappresenta un elemento chiave in due ambitiregionali: da un lato quello mediorientale, in quanto la Turchiarappresenterebbe un solido alleato per una risoluzione del conflittoarabo-israeliano e per un ridimensionamento delle aspirazioni nuclearidell’Iran; dall’altro quello europeo, poiché un eventuale ingresso di Ankaranell’Unione Europea – che l’Italia sta perorando fin dall’inizio dei negoziati diadesione del 2005 – rappresenterebbe un nucleo fondamentale di contrapposizionepolitica all’asse franco-tedesco e di contrapposizione militare all’assefranco-britannico, nonché consentirebbe uno spostamento del bacino europeo, orasbilanciato verso il Baltico, verso il Mediterraneo e verso le aree da cuiprovengono le maggiori sfide del futuro. L’adesionedella Turchia allo spazio europeo rappresenterebbe, dunque, un momento diavvicinamento e dialogo con l’Islam moderato e, allo stesso tempo, un contraffortecontro il radicalismo. Soprattutto alla luce di quanto sta avvenendo in Siria –verso la quale l’UE lo scorso 10 maggio ha adottato sanzioni economiche – laTurchia potrebbe avere un ruolo di stabilizzazione della regione mediorientale.In questo contesto, dunque, l’Italia ha l’opportunità di inaugurare un nuovociclo di relazioni e giocare un ruolo di prima linea nelle dinamiche principalidel nuovo secolo.* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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