Prefazione
Questa nuova raccolta di Ninnj Di Stefano Busà che s’identifica e si configura come una sorta di rivisitazione dell’Eros, che si fa carne e sangue del tempo e del suo confine, inquietudine oltre l’estremo limite e apre il suo bozzolo di felicità terrena, si presenta di primo acchito come un esercizio diretto gioiosamente alla vocazione dell’amore, in un linguaggio che sviluppa tutto il suo apparato linguistico e la sua non casuale distinzione, tra lo spazio indifferente ad ogni slancio o bagliore del cuore, e la sua connotazione vocativa all’amore, a difesa della morte: “l’amore non è comodo né facile/ ci arde solamente dentro come scintilla vitale,/ ci scorre nelle vene come istante perfetto,/ nell’arroganza di solitudini abissali.”
Devo ammettere che questo lirismo mi ha colpito, perché molto diverso da tanta simbologia amorosa. Sono versi interessanti, smaliziati da una sigla autonoma e molto efficace che li rende profondamente umani e vivi, permeabili all’Eros. C’è un lirismo acceso, il senso del tempo dolcemente rappreso nelle sue qualità fenomenico/temporali. L’amore va ricercato dentro “un battere d’ali/ in un remoto altrove,/ oltre i giorni quieti.” Intensi anche questi versi: “L’amore trova sempre l’orlo dell’abisso/ in cui morire e poi risuscitare.”
Le sottese umanità e sensibilità dell’espressione amorosa si consegnano, tout court, sfrangiate da ogni malizia alla fuga del tempo e giungono al lettore come tracciato di vita essenziale, nel quale la fine non ci ghermisce del tutto, perché trova referenti che tutelano l’esistenza dall’indifferenza e dalla impietosa, ombrosa sterilità che rimanda ad altra morte, istruendo un percorso letterario e umano quale speranza che, in modo suadente e senza sovrastrutture, riesce a cogliere la stagione dei sentimenti, dotandola di una nuova e illuminante connotazione verbale, che apre a prospettive nuove l’emozione, riuscendo a coniugare la relatività della materia ad una più coinvolgente dimensione di spazio/atemporale: “Gioca a gatto e topo l’Eros/ cerca nel tuo corpo la ragione vitale dell’esser(ci)/ si commuove nella compenetrazione amorosa,/ nell’abbaglio del desiderio.”
In questa silloge, mi pare che si configuri una nuova e più esaltante accensione della materia amorosa. L’intreccio di due fusioni travolge il tema immaginifico ed espressivo per essere peculiare alla modulazione del canto. L’osmosi dei corpi che modulano l’aspetto più misterioso dei destini individuali si fa carico in questa raccolta di apparire in congruità con le esaltazioni vocative di un erotismo fatto a immagine e somiglianza di tratti onirici: “…e possano le voci continuare a cercarsi/ al di là della fusione momentanea, /come la sete l’acqua.”
Vi è un punto altissimo di questa poetica che sintetizza la capacità dell’auscultazione interiore, oltre che materica della fenomenologia amorosa: “Fomentare la luce, immaginarla/ tra le pieghe del corpo: scivolarvi dentro,/ intonarvi una canzone mai indossata/…/ oltre i giorni quieti dell’attesa,/ come se fosse l’ultima volta.”
Ritorna sempre la vis amorosa a riaccendere il fuoco, a delibare gioia, a torturare la voluttà, tentarla, entro i limiti desueti della casta e pura nudità, oltre la sete e la vocazione attitudinale di essere vivi: “..e ci ammonisce, amore/ come una lanterna che ha bruciato tutto l’olio/ e consuma le ultime gocce.”
Dinanzi ad una tale strategia espressiva la parola è riconducibile alla variazione dei suoi significati, indaga nelle diverse dimensioni dell’io, si proietta nella visionarietà e nelle innumerevoli metafore amorose. Tutta la silloge è fruibile e sa guidare alla lettura che sempre mira alla scomposizione degli elementi in prossimità di ogni storia d’amore. Il pensiero si sviluppa per immagini che mettono a nudo l’anima, sicchè ogni verità dell’essere si sintetizza come rivelazione di sé, nel moltiplicare la presenza delle ragioni intime che espongono un sapientissimo gioco di forze, nel mettere a nudo la conquista delle emozioni. Qui siamo oltre il manierismo di tanta poesia odierna, vi è chiara e nitida la parola che indaga sulla capacità del rapporto d’amore attraverso la suprema luce della poesia per entrare definitiva e felicemente risolta nel raffronto fondamentale tra l’io e il “noi” superando la dualità per giungere alla più alta conquista poetica. Il risultato è mirabile, sciamanico. È necessario prenderne atto: rimane sullo sfondo il magnificat dell’espressione lirica, l’apoteosi dell’evento, le sue ragioni ineluttabili che puntano al dibattersi dell’io a fronte del suo meno indulgente oscuramento, alla ricognizione del magma che scandisce le modalità del “corpo” dando libero spazio all’impeto amoroso, come della dimensione che ne conserva il tono erotico e ne marca gli abbrividenti istanti. Felicità edotta e sedotta con evidenti risvolti verso un’alterità che si ricongiunge e s’interroga sui reali soprassalti di memoria, distintiva per l’accumulo di passione che giunge ai suoi più alti risultati, come gli esemplari due versi che ne sanciscono l’alta espressione lirica:
“Una pur breve eternità cogliemmo
da vertigine d’amore che vanisce.”
Roma, marzo 2012 Walter Mauro