La (contro) riforma della Giustizia

Dai primi anni sui banchi di scuola avevamo mandato a memoria, senza nemmeno comprenderne bene il significato, che la Democrazia si basa sulla separazione dei poteri e che nella Repubblica Italiana ne vigevano 3, indipendenti l’uno dall’altro: i famosi Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Adesso, se dovesse passare la (contro)riforma della Giustizia (o riforma dell’Ingiustizia, a piacere), dovremo fare molta attenzione quando aiuteremo i nostri figli a fare i compiti. Sì, perché già con la mitica discesa in campo del Sultanino (che ha provocato lo sprofondamento di noi tutti) il potere Legislativo (il Parlamento) è stato completamente asservito ai voleri (del capo) dell’Esecutivo (il Governo). Adesso ci pensa facciad’angelino Alfano a far fuori anche il Giudiziario (la Magistratura) e seppellire definitivamente ogni blanda idea di Democrazia.
Se l’ordine Giudiziario deve essere indipendente dalla Politica, che senso ha far sì che nel nuovo Csm (l’organo di autogoverno dei giudici) i membri di nomina politica passino dall’attuale 1/3 alla metà (+1 considerando anche il vicepresidente) prevista dalla riforma? Che senso ha che anche la nuova Corte di Disciplina (quella che, semplificando, punirà le presunte infrazioni dei Giudici) abbia anch’essa una maggioranza politica? Cosa vuol dire che i Giudici non potranno più disporre in proprio della Polizia Giudiziaria per svolgere le indagini? Cosa vuol dire abbandonare l’obbligatorietà dell’azione civile (di fronte ad un reato il Giudice “è obbligato” ad intervenire) per far sì che sia il Parlamento ogni anno a decidere quali reati debbano essere perseguiti e quali no?
E poi, e soprattutto, visto che la (contro)riforma viene proposta da un Governo il cui capo ha attualmente 4 processi in corso, non suona un po’ stonato che sia proprio lui ad occuparsene? Sarebbe, tanto per dirne una, come se il capo di Mediaset si occupasse anche della Rai. Lo capiamo tutti che sarebbe una vera e propria assurdità.