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La letteratura è morta?

Creato il 14 ottobre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 6

Tempo fa, studiando per un esame di letteratura italiana, incappai in una frase dell’autore dei manuali, lo storico della letteratura italiana Giulio Ferroni. Le parole dello studioso erano più o meno queste: “La letteratura è morta. Viviamo in una fase postuma della letteratura.” Non c’è bisogno di star qui a spiegare cosa volesse dire. Più chiaro di così non si può. Ebbene, questa frase è rimasta a fermentare in un angolo della mia mente per mesi. Mi è venuto spontaneo chiedermi: ma la Letteratura, di preciso, che cos’è?

Le definizioni sono le più varie. Leggendole non sono riuscito a ricavare nessun concetto chiaro, nessuna essenza. Così mi sono detto: prova a capire da solo cos’è la letteratura. Dopo un po’ di congetture sono arrivato a una definizione che a me sembra logica e corretta. Le storie che i nonni raccontano ai nipotini per tenerli buoni sono narrativa. Le storie che i nonni raccontano ai nipotini per provare a spiegargli la vita sono letteratura.

La letteratura è morta?
Tanto per dirne una, uno dei massimi esempi di letteratura mondiale, la Divina Commedia, non è nient’altro che un poema allegorico che parla della vita e dell’uomo, dei vizi e delle virtù, del bene e del male, ecc. Tutti temi legati alla vita, all’esistenza dell’uomo. Temi universali. Per me, il valore aggiunto della letteratura rispetto alla narrativa è proprio questo: parlare della vita. Quando un libro ti mette davanti alla maestosa complessità dell’esistenza, provi sensazioni diverse rispetto alla lettura di un testo scritto per far svagare il lettore durante e dopo la lettura. Come se il libro fosse riuscito a farti aprire un altro po’ gli occhi, a farti vedere un po’ meglio ciò che ti circonda.

A questo punto, però, è sorta spontanea una riflessione. Un libro come Il Padrino, considerato un capolavoro della narrativa a tema criminale (filone riprovevolmente commerciale) a me ha trasmesso diverse cose, riguardo la vita. Me ne rendo conto solo oggi che ho acquisito una base di teoria drammaturgica, tramite letture sparse e voglia di apprendere. Il Padrino è una tragedia. Come diceva Carmelo Bene, nella tragedia i personaggi non agiscono, ma sono agiti. Proprio come avviene nel Padrino.

La letteratura è morta?
Vito Andolini (poi Corleone) si ritrova a vivere in un mondo permeato dalla mafia. Gli ammazzano padre, madre e fratello, ma lui scappa in America. Qui lavora come garzone in una bottega di alimentari, ma viene licenziato a causa di un boss della Mano Nera, Fanucci. A questo punto non può più permettersi di vivere onestamente. Attenzione: non ha deciso di darsi al crimine, ne è costretto dalle circostanze. Si ritrova come vicino di casa un piccolo criminale (Clemenza), lo aiuta a occultare pistole senza rendersi conto di cosa sta facendo (fin quando non apre il fagotto), partecipa a un furto senza capirlo da subito. Guadagna la fiducia di Clemenza e per vivere partecipa a una serie di rapine di camion. A questo punto ritorna Fanucci, che vuole il pizzo. Vito lo uccide, esasperato, e si ritrova a essere considerato il boss. La gente che pagava Fanucci ora va da lui, si sottomette spontaneamente. E’ a questo punto, e solo a questo punto, che il più celebre mafioso immaginario decide di proseguire sulla strada già spianatagli dal Destino.

E ancora, il Destino ritorna con i suoi figli. Sonny muore a causa della sua tempra irascibile, che Puzo ci dice ereditata dal padre di Vito, ucciso dalla mafia perché, accecato dall’ira, aveva ucciso un uomo d’onore. Michael, che lui voleva senatore, o comunque uomo importante del mondo legale, è costretto dal Destino a seguire le orme paterne. Si ritrova invischiato in una palude fatta di rabbia fredda e sanguinaria, di rancore verso il mondo che comporta la perdita definitiva di ogni innocenza. Ma noi sappiamo che Michael è uno studente brillante, un soldato decorato. Insomma, uno che, nato da una famiglia di italo americani poveri ma onesti, magari il proprietario di una bottega di alimentari e sua moglie (cosa che Vito avrebbe potuto essere) sarebbe diventato professore o comunque un rispettabile professionista.

Il Padrino mi ha fatto seriamente riflettere sul Destino, su quanto il libero arbitrio sia limitato dalle possibilità che la vita ti offre.

Ho fatto questo esempio, che può sembrare una divagazione ma non lo è, per dire due cose.

1) Un’opera considerata narrativa, puro intrattenimento anche se di alta qualità, in realtà ha qualcosa di letterario, nel senso che si parla spesso del destino in un’accezione tragica.

2) Che questo spessore dell’opera resta invariato nella versione cinematografica. Anzi, forse viene rafforzato dalle grandi performance di attori come Brando, Pacino, De Niro e compagnia.

Questo mi fa dedurre che:

- La letteratura non è legata a un genere o all’assenza di genere (il tanto osannato romanzo non di genere…)
- Si può parlare della vita e intrattenere allo stesso tempo
- Si può portare avanti il compito della letteratura, ovvero storie che parlano della vita, anche con altri mezzi narrativi, come il cinema.

Un altro esempio, Scarface.

Al di là degli svariati “fuck” pronunciati e della coca sniffata, Scarface è un film sul sogno americano, sì, ma soprattutto sull’ambizione, che se spinta ai massimi livelli porta l’essere umano a distruggersi. Non vi ricorda tanto Macbeth di Shakespeare? A me sì, pure tanto.

La letteratura è morta?

Al Pacino interpreta Tony Montana in Scarface, film del 1983 scritto da Oliver Stone e diretto da Brian De Palma.

Eccoci arrivati al dunque. La letteratura è morta? Per me no. La parola scritta gode di cattiva salute, in quanto non in grado di competere con altri mezzi più comodi e d’impatto, come il formato audiovisivo (video). Ma il compito assolto – fino a ieri – dalla letteratura, oggi, viene svolto da altri mezzi come cinema, serie tv, talvolta persino dai videogiochi. Chi può negare che le grandi serie Tv dei nostri giorni (per rimanere nel genere della rivista, I Soprano) parlino della vita e dei suoi problemi in modo efficace e coinvolgente? Non tutte, ovvio, ma le migliori sì.

Se poi per letteratura vogliamo intendere per forza una storia scritta in un certo modo, che oggi risulterebbe artificiale e pomposo – ma soprattutto anacronistico -, allora direi: ben venga la morte di questa letteratura. Per come si è evoluto il mondo, questa letteratura può essere solo parte di un passato sì da studiare, ma comunque da considerare concluso.

Aniello Troiano

Articolo originariamente postato sul blog aniellotroiano – Parlo di libri ma non solo. 



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