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La Maison Valentino e la Eurasia della Fallaci

Creato il 15 luglio 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
valentino

- Di Carmen Gueye

Anni fa una nota scrittrice e giornalista italiana, Oriana Fallaci, dal suo letto di dolore a New York, dove viveva ormai molto malata, lanciò un allarme contro una ipotetica invasione di soggetti, che dipingeva a guisa di alieni, in Europa.
Abbiamo amato i suoi scritti e i suoi libri. Conosciamo un poco la sua storia e ricordiamo la verve tutta fiorentina che metteva nei suoi slanci.
In particolare, ci restano sempre nella memoria la sua polemica anticlericale e l’ ossessione per il defunto colonnello Gheddafi.

In verità, non abbiamo mai compreso fino in fondo perché una simile intellettuale andasse a cacciarsi in quella tenda a fare domande dalle scontate risposte. Forse noi non possiamo capire fino in fondo le curiosità antropologiche di persone di cultura superiore, ma senza dubbio avrebbe potuto anche occuparsi del femminismo di casa nostra in netto declino, anziché andare a stuzzicare un belloccio vanesio, per giunta dittatore, ma tant’è.

Dunque l’Oriana spirò lanciando fino all’ultimo minacciosi anatemi contro un Europa troppo lassista verso gli immigrati, che presto ne avrebbero sconvolto abitudini e costumi; e coniò l’appellativo di “Eurabia”, preconizzando un crociata a rovescio e l’islamizzazione del vecchio continente.

Ora, si può essere cittadini distratti e molto presi dalle numerose preoccupazioni quotidiane; ma se, per esempio, si va con la memoria alla tragica fine di Lady Diana , si ricorderà che l’aspirante suocero Mohammed Al Fayed era un nababbo che s’era comprato mezza Londra e anche Parigi: suo era Harrods, suo era il Ritz, presiedeva un club calcistico inglese e chi più ne ha…
E ricordiamo l’omicidio Gucci? Il viziato figlio di una ricca famiglia , prima di morire, aveva lasciato il marchio in mani arabe.
Vogliamo passare a eventi più recenti? E’ notizia di poco fa: la maison Valentino è stata venduta a investitori del Quatar.Speriamo che ne porti avanti il mito, poichè il fondatore è ormai fuori gioco da tempo.

E c’è da scommettere che, a voler indagare a fondo, molto di quello che prima apparteneva a imprenditori o aristocratici europei, adesso va a finire sempre a chi ha i mezzi per comprarseli, che spesso arriva dal Golfo Persico e dintorni.
Tuttavia, c’è di più , molto di più. Stelle del calcio, sia giocatori che allenatori, vanno a svernare, carrieristicamente parlando, proprio da quelle parti. E le nostre squadre sempre più spesso vengono rilevate da quei capitali: ma quando andiamo a sgolarci allo stadio o seguiamo stregati le partite in televisione, la circostanza non ci turba.
Senza contare il fiume di denaro guadagnato da chi, laggiù, è andato a costruire edifici, progettare impianti, costruire imbarcazioni che scorrazzano per la Costa Azzurra o le Baleari senza che i turisti si scompongano più che tanto.

Pecunia non olet, dicevano i romani. Infatti, se un esercente di Portofino o Capri vede appressarsi un emiro, si lecca i baffi: il guadagno è garantito.

Ma, se a giungere sulle nostre coste è un immigrato in cerca di fortuna, allora ci si ricorda della nostra cultura, delle tradizioni che si perdono, di questi che “vogliono fare i padroni a casa nostra”.

Noi non possiamo impicciarci più che tanto di ciò che accade ad altri paesi, ci limiteremo a trattare del nostro. Ordunque, chi si è dimenticato del proprio passato con tanta leggerezza, se non gli italiani stessi? Abbiamo lasciato decadere monumenti e musei, tagliamo la cultura e la maggioranza si è votata a uno stile di vita edonistico che con il “bel paese” di “brava gente” mite e osservante non ha più nulla a che vedere.

Siamo stati una colonia americana e ora che gli USA hanno altre gatte da pelare e potremmo riappropiarci del nostro carattere, pare che diventeremo, se già non lo siamo, terreno di conquista per l’oriente.

Abbiamo rinunciato da tanto tempo a entrare nei campi di ricerca che più contano, come l’informatica, restando una nazione di importatori di idee e capacità, tranne rare eccezioni, che peraltro sempre più spesso fugono all’estero.

Adesso, ci lamentiamo che qualcuno ci ruberebbe l’anima e le abitudini: ma dove eravamo quando i nostri rappresentanti se ne disfavano allegramente? Nessuno ti leva ciò che è tuo, se ce l’hai. Invece, le grandi civiltà, a partire dalla nostra celebrata dell’antica Roma, si sono liquefatte quando hanno perso se stesse: l’afflusso da terre lontane a quel punto non si confronta, ma trova una landa desolata: e ne fa ciò che il proprio numero le consente.

Invece di perdere tempo in giulebbose lamentele, gli italiani e, crediamo, gli europei tutti, dovrebbero dimostrare di avere ancora nel cuore e nella mente ciò che di meglio hanno espresso e offrirlo all’integrazione che, quando l’immigrazione è inarrestabile, è l’unica soluzione possibile.


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