La sentenza della Corte Suprema sull'Obamacare è in dirittura d'arrivo
Il mondo politico americano è in attesa. Giovedì la Corte Suprema emanerà la sua sentenza riguardo la costituzionalità della legge di riforma della sanità, la cd. Obamacare, voluta fortissimamente da Barack Obama e approvata in ultima istanza dal Congresso alla fine del 2010.
La norma rappresenta il principale risultato di politica interna, conseguito dall’amministrazione Obama, nel corso del primo mandato e il presidente tiene particolarmente ad una legge con cui è riuscito a estendere l’assicurazione sanitaria a ben 47 milioni di americani che, fino a quel momento ne erano privi.
Un obiettivo che quasi tutti i presidenti americani, da Ted Roosevelt in poi hanno cercato di ottenere, senza successo. Un norma che ha contribuito ad eliminare altre storture del sistema sanitario americano, come la possibilità per le compagnia assicurative di negare la copertura sanitaria in base a puri pretesti (dettati dalla necessità di fare profitto) come ad esempio la presenza in famiglia di fattori sanitari di rischio come malattie ereditarie o come particolari predisposizioni di certi individui a ad alcune tipologie patologiche (c.d. pre-existing conditions).
Una legge che è stata anche il risultato di dolorosi compromessi, come, ad esempio, l’essersi dovuta adattare al sistema sanitario esistente, fondato in gran parte sul dominio delle compagnie assicurative e sulla copertura sanitaria basata sull’acquisto di polizze assicurative.
Di qui la necessità dell’amministrazione Obama e del Congresso democratico di ottenere lo storico risultato dell’estensione della copertura sanitaria, attraverso lo strumento dell’obbligo di acquisto, da parte dei comuni cittadini, di polizze sanitarie a prezzi proporzionati al loro reddito.
Un compromesso dovuto alla volontà di perseguire l’allargamento dei benefici sanitari a più cittadini possibili, senza sconvolgere il sistema esistente e i suoi interessi particolari.
Un escamotage escogitato per dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte e che è stato sottoposto al giudizio della Corte Suprema ad opera di numerosi stati, convinti che lo stato federale, in base alla costituzione vigente, non possa obbligare gli individui e gli stati ad accettare tale vincolo.
Una controversia giuridica che ha però un sapore squisitamente politico.
Gli stati che hanno portato in giudizio la legge sono tutti del colore opposto al partito del presidente e la loro speranza è che la Corte Suprema, costituita da una maggioranza di giudici repubblicani, compreso il presidente, John Roberts, possa dichiararla incostituzionale, assestando un duro colpo ad Obama, a pochi mesi dalle elezioni di novembre. I pronostici non sono molto positivi per il presidente.
L’opinione pubblica americana si aspetta una sentenza avversa alla legge. Lunedì, la Corte ha emanato una sentenza che ha dichiarato incostituzionale gran parte della legge anti-immigrati votata dallo stato dell’Arizona e molti hanno interpretato questa pronuncia come favorevole alla Casa Bianca, responsabile in prima persona della citazione in giudizio di tale norma.
Di conseguenza, molti pensano che se in questo caso la Corte ha deciso a favore delle posizioni dell’amministrazione, nella pronuncia sull’Obamacare, i nove giudici, per riequilibrare le loro scelte, dovrebbero assestare un duro colpo alla legge di riforma della sanità.
Quello che è da capire è cosa la corte deciderà di stralciare e cosa no. Secondo molti sondaggi, alcuni capisaldi della nuova normativa, come il divieto da parte delle compagnie assicurative di negare la copertura sanitaria in base alle cd. pre-existing conditions o la possibilità che i figli minori di 26 anni possano godere dell’assicurazione dei genitori, hanno riscosso grande successo tra gli americani e quindi la sensazione è che la Corte non dovrebbe dichiarare l’incostituzionalità della intera legge, ma solo della parte relativa all’obbligo di acquisto delle polizze sanitarie.
Quel che è certo è che, qualsiasi sia la decisione della Corte di giovedì prossimo, i repubblicani e Mitt Romney ne approfitteranno per attaccare Obama e per accusarlo di non aver perseguito alcun risultato legislativo di rilievo in quattro anni di mandato.
Una accusa ingiusta poiché proprio il continuo ostruzionismo dell’opposizione e la volontà di rendere Obama un presidente da un solo mandato (nella definizione del leader della minoranza al Senato, Mitch McConnell) ha trasformato le due sessioni congressuali che si sono succedute sotto la presidenza Obama come le meno produttive da decenni a questa parte, tali da farle paragonare al “do nothing Congress” dell’epoca di Harry Truman.