106 paginette rilegate alla speraindio, imprescindibili?
Nell'insieme, no.
Tuttavia...
Se gli appunti on the road di Richler sui tour promozionali dello scrittore famoso (Diario di un ambulante) sono brillanti as usual ma prevedibili.
Se quelli del figlio Noah sulla lavorazione del film La versione di Barney (Papà, il film ed io) sono scialbi e malinconici come il film stesso, con qualche nota biografica già emersa dalle interviste a lui e alla madre Florence, e l'illuminante rivelazione che Hoffmann, invece di rubare la scena a Giamatti come in effetti fa, avrebbe voluto interpretare Barney (ma era troppo vecchio, ahinoi).
Come in altri suoi romanzi, anche in "Barney" papà cerca di arrivare al fondo di un mistero che lo avrebbe angustiato fino all'ultimo giorno di vita: come è mai possibile che una donna del genere non solo mi abbia amato, ma abbia messo su famiglia con me?
...sentivo quel mondo, cui io e la mia famiglia appartenevamo, entrare nel territorio dei libri fuori stampa e delle leggende orali, che svaniscono insieme a chi le raccontava. Gli scrittori fanno il possibile per combattere questo destino, e noi li ringraziamo, perché i loro romanzi, e i film che a volte ne vengono tratti, ci danno l'illusione di prolungare una vita un altro po'. Ma è un'illusione, e lo sappiamo.
Il vero, ottimo motivo per leggersi questo mini Adelphi è il saggio finale del traduttore Matteo Codignola (v. note).
Un testo che con puntiglio professionale e umiltà fa il punto sui misteri del caso editoriale - tutto italiano, e nello specifico ferrarano, scusate l'orrido neologismo - per cui una tipica opera narrativa di literary fiction, destinata a una fruizione tendenzialmente elitaria, divenne bestseller di lungo periodo e fenomeno di massa grazie all'incapricciamento (che capriccio non fu - è la tesi di Codignola - bensì serissimo travaso ideologico del politically uncorrect nel totally unresponsible all'italiana) del direttore di un quotidiano all'italiana [i grassetti sono dell'autore di questo blog]:
...tentavo di ricordare come... "Barney" in origine fosse stato nche qualcos'altro, ad esempio un magnifico romanzo sulla mente di uno scrittore, quel luogo non necessariamente lindo, ordinato e inappuntabile (anzi) in cui le storie nascono, mutano, si intrecciano, si smentiscono, e alla fine prendono forma.
Ribaltare questa superba descrizione della lotta contro il caos in un inno a un genere diverso di caos, o alla sregolatezza in sé come unica eventualità di vita associata, e farne un ariete con cui abbattere il presunto perbenismo di facciata che ispirerebbe la nostra vita nazionale era un'operazione consentita quanto qualsiasi altra, ma non autorizzata più di altre né dal libro, né dal suo autore.
E' indubbio che nella cultura di origine un uomo come Mordecai, e una scrittura come la sua, rappresentassero una negazione vivente e rumorosa della correttezza politica - ma appunto nella cultura di origine.
Peccato che nella cultura di arrivo, almeno nella nostra, della "correttezza" non esistesse neppure un equivalente. A meno di non inventarlo, come appunto si stava facendo.
Più che il sottoscritto, devo dire, ci avevano pensato gli esegeti di "Barney", tanto che da 6 mesi non si parlava di altro che dell'ora finalmente suonata, grazie al libro, per la liberazione definitiva della sfera istintuale da qualsiasi ceppo ideologico, politico e persino estetico.
Mah, più mi guardavo intorno meno ceppi vedevo, e avventarsi contro gli scampoli slabbrati di decenza collettiva che sopravvivevano nel paese non mi sembrava il compito più urgente dell'intelligencija, di qualsiasi colore. Una lunga tirata... che si poteva considerare una specie di parafrasi pleonastica della leggendaria vignetta di Altan, dove il solito personaggio in coppola, cicca e canotta si avvicina al suo solito interlocutore seduto con lo sguardo nel vuoto e gli comunica: "Voglio una vita maleducata e piena di guai", per sentirsi rispondere: "Ce l'hai già, italiano".
Mordecai
di Noah Richler, Mordecai Richler, Matteo Codignola
Adelphi (Biblioteca minima)
2011