Sembra proprio che funzioni in questo modo: ci si siede da qualche parte (davanti al computer), e si va alla ricerca di una storia. Di un incipit. Dell’illuminazione.
A meno che non viviate in una grotta, e non stia per arrivare la compagnia elettrica a portarvi appunto l’illuminazione, così non va, non ci siamo proprio.
Mi pare sia un atteggiamento troppo ottimistico, tipico di quelli che ritengono la scrittura una semplice lotteria: basta trovare il biglietto vincente (la storia giusta), e poi sarà sufficiente passare alla cassa a riscuotere. Per fortuna le cose non vanno quasi mai così. Di storie è zeppo il mondo; poco importa che viviate a Roma, o nella città che non dorme mai, oppure in una baita della Val d’Ayas. La mancanza di “esperienze”, o vivere nel posto sbagliato sono solo gli alibi di chi non ha voglia né tempo per impegnarsi davvero a scrivere.
Un po’ come quelli che dibattono sino allo sfinimento su quale programma di videoscrittura usare.
Se vuoi scrivere, scrivi, maledizione.
Da quel poco che ho capito leggendo quello che i grandi autori hanno scritto su questo argomento, la cosa migliore è buttare giù qualsiasi cosa. Io parto sempre da un’immagine, e guardo dove mi conduce. A volte in un vicolo cieco perché non c’è nulla di nuovo, o di interessante da affrontare; il rischio di biascicare la medesima storia, esiste eccome. O forse non sono pronto io, e né possiedo le capacità per fare un buon lavoro.
A volte invece sembra una buona storia (a mio parere, che vale poco però), e allora procedo. Ma questo è l’aspetto meno complicato della faccenda.
Ricordo che il buon Lev Tolstoj riscrisse “Guerra e Pace” cinque volte, e allora non c’erano computer o tecnologia ad alleviare l’impegno: tutto a mano. Per fortuna aveva una moglie, che lo aiutava consigliandolo anche sulle parti riuscite, e meno riuscite (a dimostrazione che le Muse non esistono, e almeno un altro paio d’occhi sono sempre indispensabili).
Con la tecnologia di cui oggi disponiamo, immagino che un romanzo di quelle dimensioni debba essere riveduto e riscritto almeno 20 volte.
Ci risiamo! La riscrittura! Ci sono pochi argomenti più noiosi (per i profani e gli autori privi di talento), della riscrittura. Mentre chi ama la parola, trova magica questa fase. Molto più della scrittura.
Immagino che un autore genuino non parli di quello che scrive, ma di quanto e come riscrive. Dell’emozione di veder nascere quasi tra le mani un paragrafo, o addirittura un capitolo che respira, forse in maniera affannosa, ma vive! E poi? E poi si lucida, si cesella, si perfeziona e si ama sempre più.
Scrivere è un po’ come andare ad acquistare dell’argilla. Sì, occorrono i soldi, e poi magari una bottega. Però buona parte degli autori esordienti credono che il possesso dell’argilla sia l’opera compiuta. Devono solo aggiungere il titolo, qualcuno che glielo esponga in vetrina (l’editore che pubblichi il cosiddetto libro) e basta.
In verità hanno prodotto solo un mattone, e non poteva essere altrimenti: hanno comprato solo un blocco d’argilla!
La guerra viene dopo. Quell’argilla forse contiene forse qualcosa di buono, però diventa necessario scavare, lavorarla, lasciarla riposare e poi tornare all’attacco un numero quasi infinito di volte. È in quel “dopo”, in quel territorio sconosciuto dove ci troviamo da soli, che si capisce se c’è del talento, se esiste una capacità degli occhi, e dei sensi tutti, di andare oltre quello che si vede. E che tutti vedono.