In Italia, per legge, esistono due tipi di mamme: quelle dipendenti con normale contratto di lavoro e le mamme ‘iscritte alla gestione separata‘. Volendo semplificare si può dire che la prima è una mamma di serie A, la seconda di serie B. E non per la bravura o l’impegno nell’accudire. Bensì.
Una mamma ’iscritta alla gestione separata‘ (titolari di rapporti di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c., venditori porta a porta, revisore di società, di associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica) oppure è un Co.Co.Pro., una lavoratrice autonoma, non gode gli stessi mesi di maternità di una mamma che invece una dipendente con normale contratto di lavoro (utilizzo di proposito questa accezione condivisa di molto perchè in modo involontario) ha diritto. La mamma a gestione separata usufruisce 3 mesi di maternità all’80% dello stipendio, la dipendente i regolari 5 al 100%
Una mamma ‘iscritta alla gestione separata‘ che torna al lavoro dopo la maternità, a chi lascia suo figlio? L’asilo nido è una delle possibilità, ma in Italia bisogna sottoporsi ad una graduatoria che prevede criteri di accesso che non tengono conto dei tempi di lavoro, ma di parametri che come la numerosità della famiglia numerosa, malattie invalidanti di uno dei genitori, disagio economico e sociale e infine persone con contratti da lavoro dipendente. La malcapitata (è il caso di dirlo) con molta probabilità non riuscirà ad ottenere il punteggio necessario per suo figlio al nido perchè il suo monte orario secondo lo Stato gli permette di prendersi cura del bambino, idem -e per paradosso- chi è disoccupato (che al limite è interessato a girare parecchio per trovarne uno) con la stessa motivazione: il monte ore lavorato.
La legge dice precisa che sono comprese nella ‘alla gestione separata‘ le lavoratrici che svolgono prestazioni occasionali, cioè quei lavori inferiori a 30 giorni di durata nell’anno solare e con un compenso inferiore a cinquemila euro con lo stesso committente. E’ probabile invece che a questa categoria risultano iscritte molte lavoratrici parasubordinate come si usa in questo paese, senza nessuna flessibilità di orario e di fatto dipendenti. Dunque? Che si arrangino.
E se la mamma ‘gestita separatamente‘ è appena rientrata in Italia dopo un’adozione? Lo racconta una lettera di una mamma adottiva sul numero di dicembre de La Nuova Ecologia: stesso trattamento. Mesi tre anzichè cinque. Eppure uno o più bambini adottivi richiedono una cura e una tranquillità maggiore. Richiedono tempo e cura per abituarli a contesti nuovi: parentali, urbani, scolastici. Insomma cinque mesi sono pochi per tutti, ma sicuramente per i genitori adottivi sono insufficienti. Quindi? La mamma informa nella sua lettera che la sua denuncia è stata raccolta dal senatore Francesco Ferrante del PD che ha promosso una interrogazione parlamentare “mamme di serie B” al ministro del Welfare Sacconi e il consiglio della redazione è quello di ricordare al suddetto che la L.244/2007 aveva equiparato la maternità adottiva a quella biologica (su questo punto, prossimamente), una mail è sufficiente: [email protected] .
RiF.: messaggio n. 7040 dell’INPS