E’ noto come l’ultima di queste dieci città potrà essere toccata solo quando si sarà più prossimi a essa, quando già ci si sta domandando come fare per poter superare l’enorme parete rocciosa che si erge di fronte. Proprio in quell’istante ci si renderà conto di come su tale parete sorga la città.
Le case, ancorate solidamente alla roccia, insinuano le propria fondamenta sino al cuore più nascosto della terra, e l’uscio di ognuna di esse è rivolto verso la strada sottostante. Oltre a questo sussistono altre due caratteristiche morfologiche che balzano all’occhio: la suddivisione dell’urbano in due parti distinte, al centro delle quali nell’enorme solco andato creandosi nel tempo si estende la zona industriale, e l’inesistenza di vie o strade; soltanto corde, che dalla cima della parete scendono sino a terra. Tale strutturazione viaria ha fatto in modo che sulle parti più alte abitino coloro che riescono a trovare le forze per issarsi sin lì, mentre nella parte bassa tutti gli altri; in una sequenza eccezionalmente proporzionale al peso dei loro muscoli.
Questo stato di fatto implica due conseguenze: che nessuno degli abitanti può mai convolare a nozze con un abitante dell’altra parte – di sopra o di sotto – e che gli abitanti di sopra riescono ad avere una visione d’insieme della città molto più veritiera rispetto agli altri. Da questa differenza derivano altre due conseguenze: l’esistenza di due contrarie verità di due diverse tipologie. La prima, degli abitanti di sopra, è fatta di osservazioni personali, dove ogni uomo ha da ridire su ogni cosa, e dove non si riesce a essere d’accordo neanche sul colore dell’acqua; la seconda, del quartiere di sotto, ha due peculiarità: ricca di leggende ma unitaria, dove tutte le considerazioni vanno a collocarsi nello stesso punto sovrapponendosi e dando adito all’universalità delle cose.
Per citarne una, oh magnifico Kublai, delle leggende che incarnano le tradizioni della città, posso dirti di come le origini dell’insediamento siano avvolte nel mistero, e di come sia credenza comune negli abitanti di sotto, spiegarsi la floridezza della loro città nell’esistenza di una rete viaria siffatta. A proposito della stessa, nessuna memoria d’uomo riesce a ricordare un danneggiamento di una sola fibra delle corde che ne costituiscono l’ossatura, tanto che i più fantasiosi, che poi alimentarono – e continuano a farlo – la suddetta leggenda, pensarono agli dei; di come un giorno discesero sulla terra e impiantarono tutta la struttura con le loro stesse mani, e di come, estasiati dalla perfezione di ciò che avevano creato, decisero di non privarsi, in futuro, mai per troppo tempo e per nessuna ragione, di vivere in tale paradiso.
Tutt’oggi è credenza comune l’ipotesi di un perenne bivacco in cima alla parete, dove gli dei, felici del proprio operato, badano a ché gli ancoraggi delle corde non cedano un minimo di forza alla tensione che garantisce l’equilibrio della città.
Con l’ultima delle “Dieci città” si chiude la rubrica (prima rubrica di STROSZEKIANAMENTE PRIVO…).
Spero vi piaccia
vi sia piaciuta,
vi piacerà…