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Mediterraneo e Sicurezza: intervista all’Amm. Ferdinando Sanfelice di Monteforte

Creato il 18 dicembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Annalisa Boccalon

sanfelice
L’Operazione Mare Nostrum, la Riforma dello Strumento Militare Nazionale, la cyber-security e altri temi di politica internazionale sono stati al centro del colloquio che l’Osservatorio di Politica Internazionale di BloGlobal ha avuto con l’Ammiraglio di Squadra Ferdinando Sanfelice di Monteforte. L’Ammiraglio è docente di Studi Strategici presso il Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste – Polo di Gorizia, oltre che presso altre Università italiane. Ha ricoperto molti incarichi internazionali, tra cui quello di Rappresentante Militare per l’Italia presso i Comitati Militari NATO e UE, di Comandante dell’operazione navale anti-terrorismo della NATO Active Endeavour e delle Forze Navali Alleate del Sud Europa (COMNAVSOUTH, poi rinominato CC-MAR Naples). Autore di numerosi libri e saggi di argomento strategico e militare, è membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Storia Militare, dell’Académie de Marine di Francia e Presidente della Commissione Militare del Comitato Atlantico Italiano. Ha ricevuto vari riconoscimenti e onorificenze, come la NATO Meritorious Service Medal e la NATO and WEU medals for service in the Former Yugoslavia Operations.

Dal 18 ottobre scorso è stata dispiegata nel Mediterraneo l’Operazione Mare Nostrum, che vede coinvolta la Marina Militare Italiana, e che, dai dati recentemente diffusi dal Ministero della Difesa, ha sinora consentito di salvare 3500 vite umane. Come giudica Lei il dispiegamento di questa missione? Non ritiene che, forse, sia stato un po’ tardivo?

Il dispiegamento non è giunto poi così tardi, se consideriamo che la nostra Marina è una Marina piccola nelle dimensioni. D’altronde, siamo dipesi dalla NATO in modo quasi esclusivo per sessanta anni: tale dipendenza ha portato ad uno sviluppo ridotto del potere marittimo. L’ Operazione Mare Nostrum è stata dispiegata quando è stato possibile farlo; con la fine dell’Operazione Active Endevour, delle Operazioni Antipirateria della Missione Atalanta intrapresa nel 2008, e la fine delle operazioni multinazionali di soccorso umanitario in Libia, che hanno coinvolto la Marina, ora c’è maggiore disponibilità di mezzi da poter impiegare. Mare Nostrum è stata dispiegata quando i mezzi erano disponibili.

Nel nostro Paese è in corso il processo di riforma dello Strumento Militare nazionale, percorso avviato con la legge 244/2012, legge con la quale il Parlamento ha delegato al Governo l’adozione dei decreti attuativi. Questo processo di riforma mira a dotare lo Strumento Militare di una maggior sostenibilità finanziaria, di una maggior efficacia ed efficienza operativa, in un’ottica di integrabilità con il Sistema di Difesa e Sicurezza Europea, oltre che con l’Alleanza Atlantica. Cosa pensa della Riforma della Difesa?

Penso che siamo sulla strada giusta: la riduzione delle spese per il personale, al fine di poter impiegare maggiori risorse per l’operatività e l’investimento tecnologico è ciò che serve alla nostra Difesa. Se pensiamo, per esempio, a quanto numerose sono le nostre Forze Armate, è evidente che ciò, soprattutto nel caso dell’Esercito, fa sì che il loro compito principale sia uno: il presidio. Nel nostro Paese le Forze Armate, infatti, vengono spesso utilizzate con funzione di presidio del territorio, come nel caso dell’Operazione Strade Sicure, oppure nel fronteggiare l’”emergenza rifiuti” in Campania o in caso di calamità naturali. Spesso la politica utilizza l’invio dell’Esercito come minaccia o come soluzione dinanzi a situazioni di criticità, che poco hanno a che vedere con la vera natura della Forze Armate. Questo approccio dipende dalle fragilità insite nel nostro Paese: c’è una scarsa coesione, oltre a forme strutturate e consolidate di criminalità organizzata. Così facendo, però, si perde di vista l’investimento nel vantaggio tecnologico, elemento indispensabile in un ordine mondiale multipolare. E’essenziale, dunque, trovare un equilibrio tra la tecnologia e il numero degli effettivi.

L’Italia assumerà nel secondo semestre del 2014 la Presidenza dell’Unione Europea, con l’obiettivo di sostenere concretamente un’Europa della Difesa, come affermato non da ultimo nel Consiglio Supremo di Difesa del 6 novembre. Alla Common Security Defense Policy (CSDP) sarà inoltre ampiamente dedicato il Consiglio Europeo di dicembre. Quali ritiene che siano le maggiori debolezze dell’attuale CSDP?

Le debolezze della CSDP sono di due tipi: innanzitutto, gli europei sono dipesi dalla NATO per cinquanta anni, come veri e propri “consumatori di sicurezza”. L’impostazione che la Difesa europea ha ricevuto dalla NATO ha fatto prediligere il potere aereo-terrestre, mentre quello marittimo è sempre stato in mano agli USA. Anche in questo caso, viene a mancare un equilibrio, che gli europei devono cercare di individuare. In secondo luogo, l’Europa non è credibile se non c’è coesione politica. La vicenda dell’intervento in Libia lo dimostra: i Paesi europei sono ancora vittime della competitiveness reciproca. Ma, in fondo, ci siamo fatti la guerra tra noi per quasi 2000 anni, mentre sono solo cinquant’anni che collaboriamo pacificamente.

Veniamo ora ad una delle sfide internazionali di maggior rilevanza: la dimensione cibernetica della sicurezza, la cosiddetta cyber security. La NATO è sempre stata molto vigile e attiva sui temi della cyber security, al punto da inserire opportuni riferimenti ad essa nei propri Concetti Strategici,sin dalla fine degli anni Novanta. Come si sta muovendo l’Alleanza Atlantica su questo fronte oggi?

Non c’è nessuna organizzazione internazionale o regionale che abbia affrontato il tema della cyber security meglio della NATO o che possieda un’esperienza più consolidata nel settore. Per comprendere qual è la posizione della NATO in merito, basta considerare il Concetto Strategico del 2010: in esso sono contenute tre indicazioni chiave che identificano l’approccio dell’Alleanza Atlantica per il contrasto alla cyber security. Prevenire (prevent), identificare (detect) e difendersi(defend), ma è in particolare l’identificazione della fonte degli attacchi cibernetici (detect) a ricoprire un ruolo essenziale. Individuare l’aggressore è fondamentale per saper agire con proporzionalità e in modo discriminato: la vera sfida oggi su questo fronte è, infatti, quella di rendere l’ambiente cibernetico meno opaco, perché un ambiente opaco è peggio di un ambiente ostile. Se la NATO riesce ad avere successo in quest’operazione, potrà dire d’aver raggiunto un grande risultato.

A fine estate abbiamo assistito all’avvio di una quasi guerra umanitaria in Siria, poi il colpo di teatro russo-siriano ha fatto rientrare l’allarme di un possibile conflitto, con il conseguente smantellamento degli arsenali chimici del regime di Assad. Agli analisti internazionali è balzata subito all’occhio una netta discrepanza tra l’atteggiamento tenuto dalla comunità internazionale in Libia nel 2011 e quello tenuto in Siria in questi quasi 3 anni di guerra civile. Buona parte di questa discrepanza è dovuta al peso degli interessi russi in Siria. Possiamo parlare di un ritorno della Russia a pieno titolo sulla scena internazionale?

La Russia di Putin partecipa al gioco multipolare in modo intelligente, compatibilmente con le risorse che ha a disposizione. L’appoggio della Russia al regime di Bashar al Assad è razionalmente spiegabile se pensiamo che da un sostegno al mondo sunnita, i primi Stati che potrebbero essere danneggiati sarebbero proprio la Russia e la Cina, che ospitano al loro interno popolazioni musulmane sunnite, in una condizione di elevata tensione. E’ questo il caso del Daghestan e della Cecenia in Russia o della popolazione uigura dello Xinjiang in Cina. Da una nascita della “Grande Arabia” i primi a rimetterci potrebbero proprio essere Mosca e Pechino: di fatto, ora esse si stanno comportando come l’Occidente ai tempi di Sykes-Picot, frammentando il mondo arabo e impedendo la nascita della “Grande Arabia”.

Il 23 novembre il Gruppo dei 5+1 ha raggiunto uno storico accordo con l’Iran sul dossier nucleare. Quali sono state, secondo Lei, le variabili che hanno potuto condurre ad uno sblocco dei negoziati? La nuova Presidenza Rouhani da sola è stata determinante?

In questi ultimi anni stiamo assistendo ad una controffensiva sciita, all’interno del perenne scontro tra mondo sunnita e mondo sciita. Il caso della Siria, nonché quello delle rivolte sedate in Bahrein, ne sono dei chiari esempi. Fino a pochi anni fa, l’Occidente aveva scelto di mettersi in linea con i sunniti, ma ora si è accorto che ciò non è più conveniente sul piano politico e strategico. Il raggiungimento dell’accordo con l’Iran dipende anche e soprattutto da questo nuovo e differente approccio che l’Occidente inizia ad avere nei confronti del mondo sciita nel suo complesso.

Annalisa Boccalon è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)

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