"descrivete ciò che vedete e… affidatelo alla corrente”.
Era il 31 maggio 2012, stavo passeggiando in via Caracciolo, a Napoli, strabiliato come sempre dall’incanto del golfo, quando un tonfo destò la mia attenzione. Una piccola bottiglia era atterrata a un passo da me, trasportata, anzi lanciata dal mare. Istintivamente mi abbassai a raccoglierla, incuriosito anche dall’inconsueto contenuto. Racchiusi in quell’involucro, dipinto d’azzurro e striato di verde, vi erano decine di foglietti pieghettati, fino all’orlo della bottiglia.
Lungomare Caracciolo, Napoli
Tantissimi pensieri attraversarono, in pochi istanti, la mia mente che cominciò a saltabeccare nella fantasia. Avvertivo al contempo una fortissima emozione, una vera e propria frenesia. Cosa contenevano quei foglietti, ma soprattutto, chi ne era il mittente? Non so per quale ragione ma il primo nome che mi venne in mente fu quello di Robinson Crusoe, al quale seguirono quelli di Virginia Woolf, Martin Eden e… Intanto armeggiavo con quella piccola bottiglia che il fato aveva messo quel giorno sulla mia strada, anzi sul mio marciapiede. Dalla difficoltà di togliere il tappo ne deducevo che il misterioso ventre la custodiva da diversi anni, ma non ero in grado di essere più preciso.
Nel frattempo alcune persone, prossime a me, avevano notato l’accaduto e man mano si accalcavano per saperne di più. So che avrei potuto asciugarla, eventualmente porla in un sacchetto e trasportarla a casa – o almeno in un luogo più riservato – per continuare lì la scoperta, ma le sensazioni mi dettavano di rimanere in quel posto, esattamente dove era atterrata la bottiglia. E così fu, lì rimasi, d’altronde intuivo anche che i presenti accorsi non mi avrebbero permesso di andar via, curiosi quanto me di conoscere qual prezioso tesoro contenesse quello scrigno. Svolgevo quelle operazioni di apertura cercando di usare la massima perizia, memore di un insegnamento di mio padre – esperto di meccanica – che era solito rammentarmi durante i vari lavoretti domestici: «Non bisogna usare la forza ma la tecnica, altrimenti si rischia di danneggiare il meccanismo».
Mentre quegli occhi scrutavano le mie mani, intente nel loro delicato lavoro, il tappo finalmente si allentò. Aprii quindi la bottiglia ed estrassi i primi tre o quattro foglietti. Mi resi conto immediatamente che ognuno recava a tergo un numero differente. Gli impazienti spettatori mi esortavano ad estrarne altri e io li assecondai. Comprendemmo a quel punto che si trattava di una numerazione progressiva, ma quale fosse il significato nascosto non potevamo neanche presagire.
Nella speranza di seguire le intenzioni del mittente, convenimmo tutti di cominciare ad aprire il foglietto contrassegnato dal numero 1. Tutti i presenti erano come sotto l’effetto di un incantesimo, mentre mi accingevo alla lettura, che mi avevano quasi imposto di eseguire. Riposi accuratamente gli altri foglietti nella bottiglia e mi apprestai, quindi, alla lettura del primo misterioso messaggio, che riporto integralmente.Il tono imperativo, forte e a volte minaccioso dello scritto pose tutti in un sommesso silenzio… fino all’ultima parola.
Messaggio n. 1
“Persone oneste, ovunque voi siate, descrivete ciò che vedete e… affidatelo alla corrente.”
Penso sia ciò di cui abbiamo bisogno tutti, che le persone oneste si uniscano per darsi una mano vicendevolmente, ma anche per offrirla a chi ha smarrito ogni speranza. Ogni fatto di cui siamo testimoni deve destare la nostra massima attenzione, deve farci riflettere ma, soprattutto, deve essere fonte di discussione, protesa a una soluzione comune. È evidente che siamo di fronte a un bivio: parlare o tacere per sempre. Quest’ultima opzione, più che un’alternativa, si mostra come una conseguenza, nel senso che parlare in ritardo significherà che quelle parole – sebbene pregne di ogni sorta di fondatezza – non saranno più ascoltabili. Sarà come parlare in un acquario.
-
un gesto di solidarietà;
-
un gesto di fratellanza;
-
un gesto di denuncia;
-
un gesto di presenza;
-
una lettura del presente;
-
una speranza per il futuro;
-
una pietra… per ricostruire;
-
un sogno.
Vogliate accogliere l’ultima parola che ho scritto nell’elenco - sogno – e darle un giaciglio, un po’ di ristoro. Lei è stanca ed emaciata. La scarsa nutrizione alla quale è costretta da un po’ di tempo le sta facendo temere un infausto epilogo. Una volta rimessa, fatele proseguire il suo cammino, anzi indicatele voi la strada e la prossima meta. Lei ve ne sarà riconoscente per sempre. Con me lo è tutti i giorni, è diventata il mio pensiero ricorrente, quasi un’ossessione. Senza il suo aiuto, non sarei stato in grado di vergare il mio scritto.
Il peggio che possa accadere è che il messaggio, includente il sogno, venga raccontato con reticenze, omettendo parti che – secondo noi – potrebbero non essere convenienti, o per altri motivi (magari nascosti anche a noi stessi). Ciò provocherebbe l’impossibilità del sorgere di un’intesa o, nel caso quest’ultima già esistesse, un’incrinatura fino all’irrimediabile rottura.
Questo concetto ne include un altro, la fiducia nel prossimo, oggidì sempre più compromessa. Come fare per recuperarla?
Ci vengono in soccorso le tracce del passato che hanno, tra le tante, anche questa utilità. Mostrarci gli errori degli uomini che ci hanno preceduti, affinché non vengano ripetuti irrimediabilmente o, quantomeno, al fine di fornirci un mezzo in più per capire i nostri. A questo punto è utile leggere un passo di un libro nel quale si descrive la rottura del rapporto tra due delle menti più eccelse cui il mondo abbia dato i natali. Sto parlando di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung.
Sigmund Freud e Carl Jung
Il passo è il seguente: “[…] Il nostro viaggio negli Stati Uniti, iniziato a Brema, nel 1909, durò sette settimane. Eravamo assieme ogni giorno, e analizzavamo i nostri sogni. […] Consideravo Freud una personalità più anziana, più esperta e matura, e mi sentivo come un figlio suo. Ma poi capitò qualcosa che inferse un duro colpo alla nostra amicizia. Freud ebbe un sogno, che implicava problemi che non mi sento autorizzato a riferire. Lo interpretai come meglio potevo, ma aggiunsi che si sarebbe potuto dire molto di più se mi avesse fornito alcuni particolari sulla sua vita privata. A queste parole Freud mi guardò sorpreso, poi disse: «Non posso mettere a repentaglio la mia autorità!» La perse in quel momento. Quella frase si impresse come un marchio indelebile nella mia memoria, e in essa vi era già un preannuncio della fine della nostra amicizia. Così, Freud poneva l’autorità personale al di sopra della verità! […]”. [C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni,Bur 2007, pag. 199]
Al termine di quella lettura eravamo tutti un po’ frastornati, ma avvertivamo la medesima sensazione di sollievo e di speranza. Non potendo continuare la lettura per ovvie ragioni, decidemmo di incontrarci il giovedì seguente, appuntamento da rinnovare per quello ancora successivo e così via, fino all’ultimo biglietto… sempre allo stesso posto e alla stessa ora. Ah, dimenticavo. Quel messaggio non recava una firma leggibile ma solo le iniziali, C.I., dalle quali stiamo ancora tentando di risalire all’autore.