L’ombra nera del lockout non si è smateriallizzata attorno all’Nba. Anzi. Si è messa al lavoro e per la prima volta dallo scorso 1 luglio, ha messo mano al calendario e lo ha, se non rivoluzionato, per lo meno modificato. Come avevano più volte ribadito David Stern e Derek Fisher, il tempo scarseggiava e alla fine, dopo vari meeting senza trovare alcun accordo, ma soprattutto senza schiodarsi dalle proprie posizioni, la Nba ha dovuto comunicare lo slittamento dei training camp e la cancellazione di ben 43 partite di preseason. La fase di preparazione sarebbe dovuta scattare il 3 ottobre ma l’Nba ha deciso di posticipare tutto e di togliere le prime gare di esibizione tra il 9 e il 15 ottobre.
Questo significa anche che la regular season rischia fortemente di non partire come da calendario. Un brutto colpo per tutti gli appassionati, un segnale forte che questo lockout sarà difficile da sollevare. Troppi gli interessi in ballo, troppo duri gli ossi da rodere in rappresentanza delle due fazioni. La conferma della decisione è arrivata da Adam Silver, vice-commissioner NBA:
“Purtroppo siamo arrivati al punto in cui non possiamo aprire in tempo i training-camp e siamo stati costretti a cancellare la prima settimana di preseason. A breve prenderemo altre decisioni“.
Le parti sono ancora troppo distanti e per questo regna il pessimismo. La speranza è che la stagione non venga cancellata, come successo all’hockey NHL qualche anno fa, ma anche che parta prima di quanto accadde nel 1999, quando la regular season prese il via a gennaio e durò 50 partite prima dei playoffs, poi vinti dai San Antonio Spurs di Tim Duncan e David Robinson.
Al momento non è stato fisssato un nuovo incontro tra Stern e i proprietari, e l’associazione giocatori. Da quanto riporta Espn, sembra che ci sarà un nuovo meeting la prossima settimana per provare a ridurre il gap, che verte sempre sulla questione degli introiti. I proprietari vogliono che la torta sia divisa in un 54-46 a loro favore; i giocatori, come da vecchio contratto collettivo, riproporre il 57-43, o al massimo scendere al 54, oltretutto senza un hard cap, ovvero mantenendo un sistema salariale flessibile che ammette diverse eccezioni per poterlo sforare. La situazione è davvero complessa e se non si dovessere arrivare all’accordo entro la metà di ottobre, anche la regular season potrebbe cominciare a perdere partite su partite. E allora lì sì l’ombra nera del lockout potrebbe cominciare a produrre danni davvero seri.