Molti oppositori del matrimonio omosessuale optano per un istituto parallelo al matrimonio, le cosiddette “unioni civili“, aperte anche alle persone dello stesso sesso. E’ una posizione che appare certamente meno negativa allo stravolgimento antropologico del matrimonio, ma tuttavia non è esente da criticità. Proviamo a capire meglio perché.
Innanzitutto occorre tenere presente che le unioni civili sono considerate dagli attivisti omosessuali il trampolino di lancio per arrivare poi al matrimonio e all’adozione per le persone dello stesso sesso, il caso francese è sotto gli occhi di tutti. Si può dire che è proprio la loro strategia: Boris Dittrich, il “padre” del movimento politico olandese a favore dell’agenda LGBT lo ha candidamente ammesso spiegando che le unioni civili sono state legalizzate con la promessa rassicurante che il solo loro scopo era garantire la giustizia fiscale e le leggi dell’ereditarietà di proprietà per le persone dello stesso sesso. In realtà, ha continuato, «abbiamo pensato che sarebbe stato psicologicamente meglio introdurre prima le “unioni registrate”», così «la gente si è abituata all’idea che due uomini o due donne si possono unire in Comune, vedendo il loro rapporto riconosciuto dalla legge». Una volta assuefatti e cotti a puntino, si introduce il matrimonio gay senza che scoppi «la rivoluzione». Anche in Italia è stato espresso chiaramente da Livia Turco, parlamentare PD, prima delle elezioni politiche: «se andremo al governo come ha detto Bersani, faremo subito una legge per riconoscere le coppie di fatto. Una volta accettato questo poi sarà difficile negare a queste famiglie la possibilità in futuro dell’affidamento e dell’adozione».
Tommaso Scandroglio, docente di Filosofia del diritto all’Università di Padova, ha però smontato la presunta necessità delle unioni civili, spiegando: «si potrebbe facilmente obiettare che il nostro ordinamento già tutela il convivente in quanto convivente, ovvero in quanto persona e, quindi, soggetto di diritti. La giurisprudenza, in materia di affitti non fa distinguo tra conviventi e coniugi; in materia di successione esistono le donazioni e non sussistono problemi di questo tipo; esistono anche leggi che prevedono, in caso della donazione di organi, l’esplicito riferimento al convivente». Occorre anche notare però che le unioni civili consegnano soltanto diritti, ma non doveri e questo è giuridicamente ingiusto: «Il coniuge ha una serie di doveri specifici, non pochi in verità, quali quello di fedeltà, di assistenza, di educazione dei figli», ma ad esempio, «non ha alcun dovere nei confronti del pargolo, mentre l’abbandono di minori è reato per il genitore». Sarebbe anche ingiusto nei confronti di chi si sposa, come ha sottolineato l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, specializzata nel diritto di famiglia: «Hanno poco da raccontare, quelli che pensano di superare le discriminazioni istituendo il registro delle coppie di fatto: così facendo discriminano tra coppie che si sposano, con la volontà e l’impegno di farlo, e coppie che non assumono le responsabilità del matrimonio, ma ne acquisiscono le tutele assistenzialiste». Chi volesse risolvere la situazione attribuendo anche i doveri a queste coppie di fatto creerebbe una situazione paradossale: sono loro stessi che non vogliono sposarsi proprio per evitare di assumersi qualsiasi impegno, dovere e vincolo matrimoniale!
Anche il giurista Francesco D’Agostino, docente presso “La Sapienza” di Roma e membro del Comitato nazionale per la bioetica, ha confermato che quel che si vorrebbe ottenere tramite le unioni civili è già possibile ottenerlo oggi: «il diritto di fare testamento è sovrano, e quindi chiunque può fare testamento e lasciare le sue sostanze allo Stato, al convivente, ai parenti in America o alla Chiesa. Il diritto di assistenza in ospedale del convivente gay sicuramente non è formalizzato dalla legge. Ma chi conosce la pratica sanitaria italiana e la difficoltà da parte degli ospedali di assistere adeguatamente gli ammalati, sa benissimo che le strutture di cura sono ben felici che non solo i parenti, ma anche gli amici vengano a prendersi cura dei loro cari». Per questo, rileva, «le argomentazioni a favore dei diritti delle coppie gay sono pennellate di un dibattito ideologico che non ha un autentico fondamento sociale. Chiamo ideologica ogni pretesa che non risponde a bisogni reali dei cittadini, ma a una loro soddisfazione psicologica. Capisco che una coppia gay possa soggettivamente desiderare il matrimonio. Non ho mai trovato però un argomento forte di tipo sociale che spieghi perché il matrimonio gay possa avere un valore socialmente oggettivo e non soggettivamente emotivo».
Addirittura, fa notare il sociologo Giuliano Guzzo (citando fonti verificabili), in Italia è già prevista, in taluni casi, perfino l’adozione a chi non è coniugato (e quindi ipoteticamente convivente), come è anche concessa ai conviventi l’assegnazione di case popolari e ad un convivente – se l’altro viene a mancare, e a condizione che entrambi avessero prima stipulato il contratto – la possibilità di subentrargli nel contratto d’affitto nonché di visitarlo e assisterlo in carcere o all’ospedale. Attraverso un testamento, inoltre, è possibile che un convivente destini all’altro parte dei suoi beni. Illuminante, a questo proposito, l’articolo della giovane giurista Ilaria Pisa.
Appare dunque assai pretestuoso insistere sulla “necessità civile” di creare una sorta di istituto giuridico della convivenza, a meno che esso non sia -come dicevamo inizialmente- soltanto un trampolino di lancio per approdare poi al matrimonio e all’adozione omosessuale. Che non vi sia alcuna necessità lo dimostra anche il numero di iscritti ai simbolici registri delle coppie di fatto. A Bologna, patria di Franco Grillini e di molte associazioni gay, il numero è zero iscritti dal 1999…più simbolico di così!