Magazine Opinioni
di David Incamicia |
L’Italia ha 150 anni, e bisogna festeggiare. Ce lo ricorda perfino il settimanale tedesco progressista Die Zeit che ho avuto modo di consultare nella sua versione on line e che si interroga, al pari di molti altri osservatori stranieri, sul perchè il nostro Paese fatichi tanto a ritrovarsi attorno alla ricorrenza dell’unificazione. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele di Savoia venne proclamato Re d’Italia dando inizio alla nostra giovane vicenda nazionale. Così a distanza di 150 anni, all’alba di questo 17 marzo, mentre già si vedono esposte le bandiere in tutto il Paese, dal Gianicolo a Roma tuoneranno al momento stabilito i colpi di cannone e il Parlamento si riunirà in seduta straordinaria. Una giornata solenne che si concluderà poi con le note delle opere di Verdi a risuonare in quei teatri colpiti a morte dai tagli e dalle ristrettezze economiche. Un programma che sembra condiviso da tutti ma che per molti degli eventi previsti, come ci ricordano sempre gli “amici” tedeschi e non solo loro, ha generato una controversia quasi surreale che ci ha esposto ancora una volta all’ilarità del mondo intero.
“La Nazione va incontro a questo importante anniversario senza entusiasmo”, aveva predetto l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ma in realtà non è del tutto vero. Le indagini demoscopiche rivelano che pur sempre la stragrande maggioranza degli italiani festeggerà volentieri il compleanno della Patria. La mancanza di entusiasmo di cui parla l’araldo della Costituzione Ciampi, riguarda più i politici che i cittadini.
Basta ricordare che per decidere se concedere o meno un giorno di festa agli italiani, le discussioni si sono dilungate per mesi. Naturalmente gli imprenditori erano contrari, i sindacati erano divisi e anche il governo lo era. Lo stesso Presidente Berlusconi è parso troppo indaffarato coi processi che lo attendono come imputato perché potesse occuparsi di una simile inezia come i festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Comunque, all’ultimo minuto, è stato emanato un Decreto per dichiarare il 17 marzo di quest’anno - e solo di quest’anno - giorno festivo. Un provvedimento d’emergenza, come se si trattasse di dover dare risposte ad una qualsiasi crisi di governo.
L’Italia, pertanto, non ha saputo e non sa dimostrarsi veramente unita nell’anniversario della sua unificazione. La Lega Nord, ad esempio, sta in ogni caso boicottando la festa ricorrendo anche a basse provocazioni. Da quelle parti considerano da tempo la Nazione italiana un’utopia senza speranza, quasi un fastidio, vagheggiando uno stato di fantasia chiamato Padania sganciato da “Roma ladrona”, che comprenderebbe tutto il Nord dell’Italia.
Sebbene rappresentata al governo dal Ministro degli Interni Maroni, la Lega rifiuta ostinatamente il Tricolore e l’Inno di Mameli come simboli nazionali. Umberto Bossi è già stato accusato di vilipendio dopo aver dichiarato con vanto che lui usa la bandiera italiana al posto della carta igienica. Il vessillo della “Padania” di colore ne ha uno solo: il verde con il Sole delle Alpi, simbolo che ricorda una runa stilizzata. Mentre come loro inno, i leghisti hanno scelto il Coro degli Ebrei, tratto dal Nabucco di Verdi. E poco importa se il compositore di quest’opera, l'immenso Giuseppe Verdi, sia egli stesso un eroe del Risorgimento: alla Lega basta che sia originario del Nord Italia.
In questa campagna contro le celebrazioni, la Lega è stata appoggiata anche dall’Alto Adige. Luis Durnwalder, Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, ha tenuto a precisare in un comunicato ufficiale che non avrebbe preso parte ai festeggiamenti poiché la “minoranza” austriaca altoatesina non può assolutamente condividere la gioia dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Alla radio, Durwalder ha pure rincarato la dose: “Non ho mai pronunciato le parole ‘Viva l’Italia’”.
I due deputati della formazione politica locale SVP, inoltre, che rappresentano la minoranza di lingua tedesca al Parlamento a Roma, a metà dicembre, in occasione della mozione di sfiducia contro il governo, votarono per Berlusconi in cambio della gestione, affidata alla stessa Provincia autonoma di Bolzano, del Parco nazionale dello Stelvio. E la destra italiana, tradizionalmente patriottica, non si è mostrata in quella circostanza completamente coesa e ferma come invece c’era da attendersi.
In ogni caso, in occasione del dibattito sui festeggiamenti del 150° è apparso evidente come la classe politica abbia miseramente tentato di sfruttare la storia del proprio Paese alla stregua di un emporio self-service, utile per la propaganda elettorale. L’interpretazione che viene data agli avvenimenti del marzo 1861, infatti, oscilla tra il rifiuto sarcastico e l’entusiasmo retorico. Di conseguenza, proprio nel suo anniversario, viene alla luce una crisi d’identità dell’Italia che ad oggi, dopo un secolo e mezzo, non appare ancora risolta. Dietro a tutto questo c’è una inquietante questione: cosa tiene oggi unita l’Italia? A parte la disposizione che tutti i liceali, da Bolzano a Palermo, debbano leggere I Promessi Sposi del Manzoni, sicuramente non esiste più la visione comune che portò i rivoluzionari Garibaldi e Mazzini e il geniale diplomatico Cavour a creare la Nazione italiana.
L'idea repubblicana dello Stato, la lungimirante follia di quegli eroi, è soppiantata oggi dal quotidiano reality show di una democrazia che in Italia è ridotta a intrattenimento circense. Soltanto da noi, infatti, poteva accadere che l’unico palcoscenico pubblico capace di veder presenti contemporaneamente ben tre Ministri a dissertare di valori unitari fosse il Teatro Ariston di Sanremo, seduti accanto ad una ex partecipante all’Isola dei Famosi e alla fidanzata di George Clooney. A quello stesso festival al quale in origine avrebbero dovuto partecipare anche due canzoni del recente passato italiano: l’inno dei partigiani Bella Ciao e l’inno marziale fascista Giovinezza. Per fortuna i vertici RAI si sono ravveduti all’ultimo momento, ma solo il fatto che il fascismo abbia trovato legittimità accanto alla Resistenza nella colonna sonora della decadente democrazia italiana risulta alquanto bizzarro e urticante.
Nel berlusconismo il concetto di “cittadino” è stato soppiantato da quello di “italiano”. Quest’ultimo termine è stato comunque svuotato di senso, e cosa sia italiano e cosa non lo sia è una decisione che spetta in via esclusiva ai populisti al potere, che coltivano così un patriottismo becero in cui sopravvive una sospetta nostalgia del fascismo stesso. La conseguenza paradossale di questa rivoluzione culturale è che il patriottismo costituzionale liberale, da Mazzini a Einaudi passando per Croce, viene bollato come di ispirazione socialista/comunista e ritenuto quindi sovversivo. Contemporaneamente, si mettono sullo stesso piano i combattenti della Repubblica di Salò e i partigiani e la stessa ricorrenza del 25 aprile viene messa in discussione.
In questo contesto di cambiamenti di valori e di contraffazioni storiche risiede forse la ragione principale della incredibile rigidità e della imbarazzante insicurezza con cui l’Italia celebra il proprio anniversario, un’Italia assolutamente smarrita e priva di riferimenti. Non dimentichiamo che sono nati anche al Sud, dove storicamente sono meno avvertiti e partecipati i valori unitari, potenti partiti regionalisti. Per esempio, la Sicilia è governata dal Movimento per l’Autonomia, una sorta di Lega del Sud sorta proprio dall’ex enorme bacino elettorale berlusconiano. Queste correnti si rivoltano contro il presunto colonialismo del Nord verso il Mezzogiorno e al simbolo risorgimentale per eccellenza, Giuseppe Garibaldi, si affibbia addirittura il ruolo dell’usurpatore al punto da dar fuoco a un suo fantoccio in una piazza “padana”. Almeno in questo, quindi, settori "nordisti" e "sudisti" della società italiana sembrano convenire.
Dunque, se questo è lo stato dell’arte, verrebbe da chiedersi se sia in fin dei conti il caso di festeggiare. Interrogativo al quale si può rispondere con le parole dell’ottimo Aldo Cazzullo: “In ogni famiglia c’è un componente che ha fatto l’Italia. Il padre soldato nella seconda guerra mondiale, la zia nella Resistenza, lo zio reduce dai campi di concentramento nazisti… Ogni famiglia custodisce un frammento della nostra storia nazionale”. Andare alla ricerca di questi frammenti di storia, metterli insieme cucendoli addosso alla propria anima persa sono gli obblighi morali dell’Italia nel suo 17 marzo. Data da vivere come un giorno di festa e di libertà ad un tempo: libertà dai freddi calcoli e dalle miserie del mondo politico, libertà dall’enorme degrado civile che ha finito per cogliere e piegare larghi strati dello stesso popolo.
Allora, auguri Italia... nonostante tutto, nonostante noi.
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