Per quale motivo scrivi?
Molte persone che scrivono sono persuase che una simile questione non abbia senso. E rispondono (di solito): Perché mi piace.
Non è una risposta.
È ovvio che piaccia scrivere. Se pestare i tasti producesse un ascesso, nessuno, (nemmeno Zola), lo farebbe.
Per quale motivo scrivi? È una domanda che nessuno si pone. Siccome scrivere è semplice, si sorvola sulla risposta.
La faccenda cambia quando viene il momento di scegliere (e nessuno ti obbliga, sia chiaro) se fare le cose seriamente, oppure lasciare che siano avvolte da una certa aurea di dilettantismo. Che spesso assicura delle grandi soddisfazioni, sia chiaro; ma anche un perfetto anonimato.
Siccome la risposta deve essere seria, sincera, pensaci su con la dovuta calma. E la mia? Perché scrivo?
Per indagare, e celebrare, il mistero uomo. Non ho risposte da dare, per fortuna. Non desidero educare o indicare la giusta direzione. Quello lo fanno i cartelli stradali. Voglio raccontare storie, da bravo artigiano quale spero di essere.
Fine. Lo so, sono quello che parla del libro come prodotto: perché è un prodotto. Se desidero che l’indagine abbia successo, devo per forza agire in un modo, l’unico che c’è. Quello giusto.
Piazzare il prodotto.
Se non piazzi il prodotto, come diavolo puoi riuscire a continuare nell’indagine?
Invece, devo fare in modo che la mia bottega (la piattaforma Marco Freccero) sia migliore di altre. O almeno, che sempre più persone siano a conoscenza della sua esistenza.
In questa bottega ci sono dei prodotti, le storie. Storie di gente che vive male, e alla fine non approdano ad alcun lieto fine.
“Eh, ma la gente ha già tanti pensieri! Perché non scrivi cose allegre?”
La gente non ha tanti pensieri, li ha solo sbagliati. A me non interessa dare loro quello che vogliono.
“Eh, ma poi non lamentarti se nessuno ti legge!”
Alt. Se può essere vero che i miei racconti hanno pochi lettori, questo significa solo che hanno raggiunto pochi lettori. La mia bottega è sconosciuta ai più.
Chi legge “I fratelli Karamazov” vuole smascellarsi dalle risate? Chi invece passa le ore sui racconti di Carver si sbellica?
“Eh, però loro sono loro”.