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Processo Tamoil, il trasversalismo incombe sul centrosinistra

Creato il 04 marzo 2015 da Cremonademocratica @paolozignani

Prospettive distinte s’intrecciano sino a oscurare l’evidenza di una scelta che probabilmente è già stata presa. Il Comune di Cremona, infatti, per volontà della giunta Galimberti, già dovrebbe aver deciso di costituirsi parte civile nel processo Tamoil, dopo la sentenza di primo grado del giudice Guido Salvini, che ha condannato per disastro ambientale quattro ex dirigenti dell’industria petrolifera libica, due in forma dolosa e due in forma colposa. Incombe però l’opportunità di un seguito politico al patto dell’aprile 2011, in nome di un’alleanza che non risulta spezzata.
Una volta depositate le motivazioni della sentenza, Gino Ruggeri ha subito chiesto al sindaco di essere ricevuto e ancora non ha ottenuto risposta. Forse ci sarà un incontro questa settimana, la data però non è stata comunicata. Ruggeri si era infatti costituito parte civile per conto del Comune, dato che l’ex sindaco Oreste Perri aveva scelto la via dell’accordo extragiudiziale per dare subito sostegno economico ai lavoratori dello stabilimento chiuso all’improvviso.
Quell’accordo del primo aprile 2011 è diventato una bandiera di un comportamento politico: evocarlo, da parte di un esponente del Pd forte come il sottosegretario Pizzetti, significa anche mandare un segnale al centrodestra che si riconosceva in Perri. Segnale che, volontario o no, può ben ravvivare l’ipotesi di un’alternativa politica alla giunta Galimberti, nella prospettiva di un’alleanza trasversale. Neppure serve insistere sul merito del testo dell’aprile 2011: pesa di più il simbolo di una volontà unitaria di raggiungere obiettivi economici senza aspettare il corso della giustizia. Il centrodestra si è diviso politicamente: alcune scelte trasversali di Perri restano però punti fermi.
Il patto del 2011 aveva escluso la responsabilità della Tamoil dall’obbligo di effettuare e pagare la bonifica, ed era stato sottoscritto da Comune, sindacati, parlamentari Pizzetti e Fontana, entrambi del Pd, e da un esponente di Tamoil inserito nella black list dell’Unione europea e dell’Onu, non da un esponente dell’ex raffineria. Un accordo che Luciano Pizzetti, ora sottosegretario del governo Renzi, ancora difende e sostiene per gli effetti economici a favore dei lavoratori, ma che non era stato neanche approvato in giunta e neppure protocollato, bensì solo firmato in Parlamento senza che i cittadini ne conoscessero i contenuti. Il radicale Sergio Ravelli, nel libro “Morire di petrolio” ha descritto e documentato la fragilità e le lacune della procedura che ha condotto a quell’intesa che nessuno considera un modello di trasparenza, democrazia e partecipazione, semmai di efficienza. Da un lato i lavoratori vanno tutelati economicamente (nessuno sostiene l’opposto), dall’altro però il patrimonio pubblico (l’ambiente, con le opportunità di avviare nuove attività economiche) mai andrebbe esposto a un disastro e a una bonifica ancora non garantita. Infatti sul terreno non inquinato possono avvicendarsi diverse attività senza alcun rischio per la salute. Il danno del disastro ambientale colpisce enti locali e Stato più della Tamoil, che ha disponibilità economica molto superiore ai dieci milioni di euro promessi dall’accordo.
Da tempo l’assessore Alessia Manfredini ha manifestato la volontà di inserire il Comune come parte civile nel processo. La scelta di Pizzetti aveva diviso i consiglieri comunali del Pd e il segretario provinciale Titta Magnoli aveva preso una posizione ben diversa da quella dell’attuale sottosegretario.
Nell’attuale maggioranza, Sel ha contestato la linea di Pizzetti che a propria volta ha replicato duramente.
Nel merito la sentenza di primo grado è chiara. La politica però si alimenta di simboli e di segnali d’intesa, e vive di alleanze che possono perdurare anche dopo un processo.


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