Per una persona come me, così irrazionalmente angosciata da pensieri di morte e di vita sprecata, l'idea di perdere tempo quando si potrebbe stare bene è terribilmente frustrante.
Per una persona come me, inoltre, la frustrazione è una faccenda tremendamente indigesta.
Genera rabbia, e la rabbia deve essere incanalata.
Difficilmente tendo a eterodirigerla, a dire ad un altro che è sua la causa della mia rabbia. Lo dico, magari, ma in verità finisce lì. La rabbia è quasi sempre autodiretta, in modi talvolta inquietanti.
Se chi ho vicino sceglie più o meno deliberatamente di allontanarsi dal bene per accucciarsi in situazioni mediocri, talvolta rivolte al male, non penso che la cojonaggine sta nella loro scelta e/o nelle loro azioni.
Penso che io non so offrire un'alternativa effettivamente valida.
Insomma, divento un essere di sinistra
Così metto sempre rapidamente in fila le azioni che non vanno. Peggio, metto in fila le azioni che io credevo andare benissimo e le etichetto come le maggiori responsabili di tutto ciò che non va.
Ridicolizzo il mio impegno, ridicolizzo e mi odio per ogni atto di debolezza e fragilità. So farmi a pezzi come non saprei fare a pezzi null'altro.
So odiarmi con una costanza e una lucidità impressionante. E l'odio e la rabbia accecano, si sa.
Perciò ho aspettato. Con un autocontrollo strano.
Spesso il mio autocontrollo è coinciso, in sostanza, con la repressione più feroce.
Stavolta no, cercavo di far spazio, di fare chiarezza, di non fare andare le cose solo come dicevo io. Soprattutto cercavo il momento giusto.
E' stata un'esperienza interessante.
Ho fatto la mia conferenza senza particolari ansie, ho ottenuto il mio discreto successo nonostante un'organizzazione penosa, lontana mille miglia dai principi di colleganza tanto decantati nel nostro codice deontologico , poi il mattino dopo sono corsa a Roma a fare l'ennesimo esame e a superarlo con l'ennesimo massimo dei voti
Poi, sgombra la mente, ho cercato di capire.
Ma capire, in verità, non era nemmeno la cosa giusta, perchè, tuttora, in fondo, non ho capito molto.
Accettata l'idea che capire non era la cosa giusta, cerco il confronto con la persona che considero meno razionale
Le racconto la situazione con estrema efficacia, poi le chiedo:
- Dimmi tu cosa faresti. Non dirmi secondo te qual è la cosa giusta da fare, dimmi tu cosa faresti -
Io avevo un pensiero impazzito che girava nella testa. Anzi, non un pensiero, un desiderio, semplice. Senza un discorso chiaro a spiegarlo, senza nessun obiettivo. Avevo solo un desiderio. Un istinto.
Mi risponde (e questa risposta ha chiarito molte cose )
- Io razionalmente farei così -
Benissimo, lei razionalmente farebbe quello che io farei istintivamente, mi dice
- Io andrei lì -
E infatti io volevo andare lì. Non a caso, probabilmente, avrò scelto di parlarne con la Pazza e non con persone più sensate che mi avrebbero detto di usare il vaffanculo, come aveva fatto qualcun altro qualche giorno prima.
Ho rotto un giuramento fatto anni fa.
Anni fa, infatti, respirando l'aria dello stretto senza ponte, mi sono presa una brutta malattia. Quella dell'orgoglio. Quella di - non faccio più un passo se non vedo un terreno avanti a me -
Quella di una rabbia di sottofondo.
E avevo giurato che mai più mi sarei esposta al punto di mettermi sotto un balcone, alzare gli occhi al cielo e dire - Ora scendi -
In quei giorni è stato anche un rapporto con l'orgoglio.
E' quella forza di me che fa in modo che quando mi viene pronosticata una sconfitta, tendo i muscoli e schiaccio gli ostacoli uno dopo l'altro. E' quello per cui non mi faccio schiacciare da nulla che non sia io, naturalmente
Ma è anche la miccia che mi accende quando non concedo possibilità.
E' stato un combattere le ridondanze e l'orgoglio, uno stare ad ascoltare solo le cose buone, come continuava a ripetermi la Pazza.
Mal di stomaco, strade sconosciute, pioggia a tratti.
Scena:
- Dove sei?
- Al volontariato, perchè?
- Quando torni?
- Fra poco, che vuoi?
- Vabbuò, allora ti aspetto sotto casa
- Ah, stai sotto casa tua?
E qui un momento di interdizione: mistero su cosa avrei dovuto fare sotto casa mia ad aspettare lei
- Macchè! Sono sotto casa TUA! Che ci devo fa' sotto casa mia?!
Non ci mette poi tanto, neanche il tempo di lamentarmi del fatto di non trovare un libro nella mia macchina e nemmeno di preoccuparmi che iniziava a piovere violentemente.
Che scena strana. Non riuscivo a dir nulla, non riuscivo a spiegar nulla. Alternavo momenti in cui avrei voluto gonfiarla di botte, momenti in cui ho effettivamente aperto la portiera per farla scendere, e altri momenti in cui desideravo solo che mi abbracciasse e basta.
Perchè io non riuscivo a parlare, lei più si spiegava o ci provava e io più la volevo picchiare, più lei mi faceva domande e più io urlavo, più, comunque, andava tutto bene.
Come sempre, se con lei smetto di usare la testa