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Quattro chiacchiere con Mahmoud

Creato il 28 febbraio 2012 da Baraem

Mahmoud ha 25 anni, e’ il penultimo di 7 figli e vive in un quartiere popolare di Helwan, al Sud del Cairo. Conosco Mahmoud da molto tempo, da molto prima della Rivoluzione, l’ho conosciuto che era un ragazzino di appena 15 anni. Frequenta l’ultimo anno della Facolta’ di Arte, parla inglese e studia polacco, usa internet e facebook e lavora, anzi lavorava nel turismo.
Non appartiene a nessun gruppo, perche’, come dice, “non amo parlare, preferisco agire” ed i gruppi, a detta sua, parlano molto. Ha partecipato alla Rivoluzione sin dall’inizio, anche se il 25 ed il 26 Gennaio 2011 aveva degli esami all’universita’ e non si rendeva bene conto di cio’ che stava accadendo. Dal 28 Gennaio, pero’, non ha piu’ lasciato Piazza Tahrir. Tornava a casa solo per dormire, per non far preoccupare troppo la madre, ed in quella Piazza, nei 18 giorni di Rivoluzione sono morti due suoi compagni di universita’, piu’ giovani di lui. Uccisi dalla Polizia il 28 Gennaio. Altri due compagni sono stati invece uccisi durante i scontri a Mohammed Mahmoud, lo scorso Novembre. Anche loro piu’ giovani di lui.
Se gli chiedo cosa pensa della Rivoluzione risponde che “i giovani egiziani di ogni livello sociale hanno combattuto e combattono. Le vecchie generazioni ed anche quelle di mezzo, poco piu’ grandi di me, non ci hanno appoggiato inizialmente fino in fondo. Ora che il peggio sembra essere passato, le idée sono cambiate e molti di loro cominciano a credere in quello che e’ stato fatto in questo Paese”
E cosa e’ stato fatto? “Non abbiamo piu’ paura, ne di parlare, ne di andare a votare. Non abbiamo paura della Polizia e neanche di dimenticare un documento a casa. Economicamente stiamo peggio, i miei fratelli piu’ grandi, sposati con figli, hanno perso il loro impiego, ed io che in estate lavoravo ad Hurghada, quest’anno sono rimasto a casa. Ma sappiamo tutti che e’ una questione di tempo e che l’Egitto si alzera’ piu’ forte di prima. Non credo che cogliero’ tutti i frutti di questa Rivoluzione ma per i miei figli ho speranza.” Attualmente Mahmoud studia solamente, non lavora perche’ come spiega “Dopo la caduta di Moubarak ho continuato a lavorare in un bazaar vicino le Piramidi ed il proprietario, che non appoggia la Rivoluzione, ha continuato a toglierci soldi dalla paga giornaliera ogni qualvota che sapeva che qualcuno di noi era stato alle manifestazioni della Piazza. Ora non lavoro piu’ li, non per scelta, ma perche’ non ci sono piu’ turisti” I militari gli piacciono “sono parte del Popolo, e purtroppo devono eseguire degli ordini. La Giunta Militare e’ invece il vero ed unico problema. Nessuno di noi li vuole, ci hanno tradito e guardano solo i loro interessi”
Nei giorni piu’ caldi, post rivoluzione, ha continuato a partecipare alle manifestazioni e durante gli scontri ed i lanci di gas  lacrimogeni era in Piazza “di nascosto dalla mia famiglia. Mi hanno pero’ scoperto quando sono stato caricato su un ambulanza e sono tornato a casa con il viso bianco per i liquidi che ci mettevano in faccia come protezione dai gas. In quei giorni ho sentito una forte rabbia, nei confronti della Giunta Militare. Ci hanno trattato come nemici, invece che come egiziani”
Del risultato delle elezioni, Mahmoud e’ contento. “Non ho votato i Fratelli Musulmani e neanche i Salafiti del partito “Nour”. Ho dato il mio voto al Partito dei Ragazzi del 25 Gennaio, anche se ad oggi non li seguo piu’ come prima.  Sono cambiati ed interessati ad apparire invece che a seguire la gente. Mi aspettavo che vincessero I Fratelli Musulmani. Nel nostro quartiere, li hanno votati quasi tutti, anche i cristiani. Li conosciamo, sono come noi e come noi del Popolo hanno sofferto durante il vecchio regime”
Mahmoud e’ un ragazzo qualunque, che studia, esce, frequenta i giovani della sua eta’ scontrandosi con la dura realta’ della precarieta’ sociale ed economica. Ma come dice “ora abbiamo scelto noi, sapevamo che con la Rivoluzione sarebbero arrivati i problemi economici. Prima, invece, per tantissimi di noi  la poverta' era stata un imposizione”
Quattro chiacchiere con Mahmoud

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