Autore: Rusty Fischer
Traduttrice: Sara Reggiani
Editore: Giunti
Collana: Giunti Y
Data di Pubblicazione: Ottobre 2012
Pagine: 363
Prezzo: 12 €
Trama: Maddy è una teenager insicura e simpatica. La sua vita scorre placida, tra le intemperanze di Hazel, la migliore amica egocentrica, e una cottarella per Stamp, il belloccio da poco arrivato in città. Ma la sua vita è presto destinata a cambiare rapidamente: colpita da un fulmine durante un temporale, Maddy si risveglia morta e con un buco in testa. Nonostante il cuore sia fermo e non abbia più necessità di respirare, Maddy cammina e ha ancora voglia di fare battute di spirito. Cosa le è successo? Facendo una rapida googolata scopre che è diventata una zombie e, se vuole sopravvivere, deve mangiare cervelli: inizia così la nuova non-vita di Maddy, teenager zombie. Accettata con ironia la sua condizione di morta vivente, Maddy scopre un mondo nuovo popolato da una parte da zombie buoni, come i suoi nuovi amici Dane e Chloe — integrati grazie a qualche accorgimento nel look, un sapiente uso dei cosmetici e un’alimentazione sana basata sul consumo di cervelli animali — e dall’altra da zombie cattivi, detti Zerker — il cui scopo è essenzialmente nutrirsi di cervelli umani, in barba all’integrazione e alle buone maniere. Maddy si ritrova quindi ad affrontare in un colpo solo i problemi tipici dell’adolescenza e i problemi piuttosto atipici di un conflitto tra zombie.
RECENSIONE Togliamoci subito il sassolino dalla scarpa: Gli zombie non piangono non passerà alla storia come un romanzo dalla trama originale. Di teenager sfigatelle-ma-interessanti ne abbiamo viste già parecchie, come pure di teenager che scoprono qualcosa e la loro vita cambia e devono salvare il mondo dai cattivi e bla bla bla. Insomma, ci siamo capiti. Per carità, non fraintendiamoci: è una storia godibilissima che scorre via precisa e vivace ma che ha il suo punto di forza non tanto negli eventi che racconta, ma nel tratteggio ultra-pop di una nuova figura di zombie.
Come sanno anche i sassi, gli zombie ci sono stati consegnati dalla storia del cinema – da Romero, soprattutto – come esseri privi di coscienza, orribilmente sfigurati e putrefatti, animati da una fame insaziabile. Gli zombie rappresentano la massa nella sua accezione più ottusa e consumistica: lo sguardo spento, l’incedere vago e l’incapacità di parola e quindi di pensiero, non sono forse i tratti caratteristici di chi si ammassa nei centri commerciali durante il fine settimana? In quanto metafora di massa, gli zombie non si prestano a diventare individui e la loro trasposizione nei romanzi è stata in gran parte fedele al modello romeriano. Però, volenti o nolenti, con la loro brutale evocazione della paura della morte, gli zombie sono anche una delle maschere più spaventose dell’immaginario horror e — era inevitabile, visto il successo di questo filone — dovevano in qualche modo essere affiancati ai vari vampiri e licantropi in salsa romance, una volta esaurite le possibilità che questi personaggi possono offrire. La trasformazione dello zombie in eroe romantico richiede quindi un tradimento, dotandolo di una individualità che non gli è mai appartenuta e che passa attraverso una coscienza e dei sentimenti insufflati in un corpo inspiegabilmente resistente alla putrefazione.
Un’operazione già vista in Warm bodies di Isaac Marion, in cui però lo zombie protagonista era inserito in un contesto fedele all’archetipo: l’apocalisse zombie, i superstiti asserragliati all’interno di uno stadio, un mondo devastato; la novità stava nella coscienza del protagonista, risvegliata grazie ai ricordi contenuti nei cervelli ingeriti. In Gli zombi non piangono, Rusty Fischer sceglie invece di abbandonare senza mezze misure l’universo creato da Romero: al di là di qualche differenza biologica e metabolica, gli zombie sono umani in tutto e per tutto; la loro condizione non deriva da un misterioso virus, ma da una scarica di elettricità, in grado di fermare il cuore ma di mantenerli comunque in vita, in un’eccentrica rielaborazione del mito di Frankenstein. Gli zombie, inoltre, sono organizzati in una società e hanno regole precise da seguire per poter vivere in armonia con gli umani. Ovviamente non mancano le mele marce, cioè gli zombie che hanno abbandonato la retta via per nutrirsi di umani e infettarli con il loro morso, più fedeli quindi al modello originario. In ogni caso, per riassumere, per diventare romanzesco lo zombie è diventato come il vampiro: sostanzialmente innocuo e incline al sentimentalismo. Qualcuno potrebbe gridare alla blasfemia, ad una commercializzazione della figura dello zombie: proprio lui, che da principio metteva alla berlina il consumismo.Il punto di forza di Gli zombi non piangono sta però proprio in questo: col suo umorismo e i toni fluo, lo zombie pop è non solo credibile, ma anche divertente. Sarà per l’ironia del racconto in prima persona, sarà per quel pizzico di nonsenso con cui le vicende si susseguono, ma il risultato finale è più che positivo. Peccato per la scelta della veste grafica, calibrata su uno stile gotico e dai toni dark, che poco hanno a che fare con la sostanza bizzarra e colorata di un romanzo curioso, di cui aspettiamo l’evoluzione nel già annunciato sequel.