Mancano pochi giorni all’inizio dell’All Star Weekend, una tre giorni di basket (poco) e spettacolo (tanto), che permette di tirare le somme di metà stagione. Con la formula dei “promossi e bocciati” proviamo a capire quali sono i rookies che hanno lasciato una impronta positiva in questa prima parte di campionato, e quelli che hanno deluso e/o non sono riusciti ad integrarsi nel mondo NBA.
PROMOSSI
1- DAMIAN LILLARD. Sull’ex stella di Weber State non ci sono più dubbi: è pronto a dominare la lega per molti anni a venire, e se fossimo professori non esiteremo a premiarlo con un 10 e lode. In poche partite è diventato assieme ad Aldridge il leader dei Trail Blazers, e anche se non dovesse arrivare la qualificazione ai playoffs, in Oregon ci sarebbe una forte positività per un futuro vincente della franchigia. Con oltre 18 ppg e 6 apg è già il candidato principale al titolo di rookie dell’anno, e nessun’altra matricola si è avvicinata al suo rendimento. All hail the… Lillard.
2- ANDRE DRUMMOND. Forse il nome più inaspettato; ma il centrone voluto a Connecticut da coach Calhoun sta uscendo dal guscio, inanellando ottime prove con i Pistons, che lo hanno scelto alla numero 9 nell’ultimo Draft. Classico esempio di pivot “old school”: roccioso, solido, reattivo a rimbalzo, tecnico in post basso. Unico difetto? il 37% dalla linea della carità, che dovrà essere corretto ormai durante la off season. Detroit deve tenersi stretto Drummond, perchè un classe 1993(!) cosi dominante nel pitturato non si vedeva da molto tempo.
3- ANTHONY DAVIS. A differenza di Drummond, il nome più “banale” e sicuro della lista. Questa prima metà di stagione per Davis non è stata semplice: molti problemi fisici (commozione cerebrale e distorsione alla caviglia) e un minutaggio che spesso è stato “ostacolato” dagli altri lunghi degli Hornets, Robin Lopez, Jason Smith e Ryan Anderson. Tuttavia, il talento nelle mani della stella di Kentucky è cristallino, e New Orleans non ha certo sbagliato a prenderlo con la prima scelta assoluta. 13 punti e oltre 7 rimbalzi nell’anno da matricola non si buttano di certo nel cestino… dopo Lillard, potenzialmente è lui il miglior rookie.
4- HARRISON BARNES. Il ragazzo uscito da North Carolina è sicuramente uno degli artefici dell’ottima annata dei Golden State Warriors, che hanno già raggiunto quota 30 vittorie e non vedono più i playoffs come un miraggio. Ala molto versatile, Barnes si è integrato perfettamente nei meccanismi di coach Jackson, e oltre ad una difesa da clinic è il principale sospettato dei decibel prodotti dai tifosi della Oracle Arena, grazie al sue “lieve” atletismo. Sfiora i 10 ppg, e si è pienamente meritato la convocazione per la sfida “mista” tra Rookies e Sophomore a Houston.
5- DION WAITERS. Statisticamente, è il migliore dopo Lillard, ma la guardia del ’91 ex Syracuse paga molto la pessima stagione dei Cavaliers e l’assenza di alternative a lui e Irving. Tuttavia, a Waiters non deve essere tolto alcun merito, dato che era entrato nella Lega sotto una pioggia di critiche che avrebbero potuto piegare gli animi di molti altri giocatori. Ora sembra che Cleveland non abbia commesso un errore prendendolo alla quarta scelta, e il recente ruolo di sesto uomo non ha fatto altro che giovare alla seconda (sempre dopo Irving, ormai stella consacrata) “soddisfazione” dei derelitti Cavs.
Menzioni d’onore per Bradley Beal, che dopo un inizio claudicante in maglia Wizards sta mostrando il suo enorme potenziale; per Michael Kidd-Gilchrist, una delle poche note positive dell’ennesima stagione disastrosa dei Bobcats, recentemente vittima di un incidente in campo con conseguente “concussion”, che non sembra nulla di grave fortunatamente; e per Alexey Shved, guardia russa dei Timberwolves che ha sostituito egregiamente prima Rubio e poi Roy. Neppure Jared Sullinger (stagione finita, schiena ko) e Tyler Zeller hanno sfigurato, dando profondità a Celtics e Cavs.
BOCCIATI
1-THOMAS ROBINSON. Per “T-Rob” i Kings sembravano perfetti: ambiente giovane, zero pressione e minutaggio garantito. Si è verificato l’esatto contrario. Coach Smart gli ha preferito spesso Jason Thompson, e per la rocciosa ala forte proveniente da Kansas questo primo assaggio di NBA non sarà propriamente da ricordare. Ultimamente, date anche le orripilanti prestazioni della squadra, Robinson sta avendo più spazio, ma le prestazioni incolore sono state troppe, e il “circo” di Sacramento non deve essere una giustificazione. I mezzi fisici ci sono, la tecnica può essere affinata, si spera in una seconda parte di stagione migliore.
2- AUSTIN RIVERS. Il figlio del grande “Doc” ha iniziato in sordina, e purtroppo per lui sta continuando in sordina. Pochi lampi di talento, tanta delusione: le cifre sono basse (6 ppg, 2.2 apg in oltre 23 minuti di media), i viaggi in doppia cifra si contano sulle dita della mano, e c’è la convinzione nell’ambiente NBA che se avesse avuto un cognome diverso non sarebbe stato scelto alla numero 10 dagli Hornets. Inoltre, Rivers paga l’ottima annata di Greivis Vasquez e il ritorno con il botto di Eric Gordon. I bei tempi da protagonista a Duke non saranno facili da replicare…
3- MEYERS LEONARD. Il lungo uscito da Illinois doveva essere la prima scelta dalla panchina dei Blazers, tuttavia, complici le inaspettate ottime prestazioni di J.J Hickson, per Leonard le uscite significative sono state poche. 15 minuti di media li racimola comunque, ma a preoccupare la dirigenza di Portland è lo scarso impatto avuto dal giovane lungo sotto le plance. I 3 rimbalzi di media sono pochini, per usare un eufemismo, e anche per la fase post All-Star Game la fiducia in lui sarà ridotta.
Ci fermiamo qui con i bocciati, dato che sarebbe ingiusto crocifiggere i vari Jeremy Lamb, Kendall Marshall, Royce White (fresco di ritorno in D-League), che non hanno avuto ancora una vera opportunità per mettersi in mostra sul parquet.
Vedremo se il “Rookie wall“, pronto ad agire dopo le 45-50 partite, darà ragione o cambierà questa analisi sulle matricole protagoniste di questa prima parte di stagione NBA.