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Salvate "Mamma Rai"... Anzi no!

Creato il 10 ottobre 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

C'era una volta, nel Belpaese, un'agenzia educativa davvero efficace e moderna, capace di sopperire alle lacune dell'istituzione scolastica e di supportare le famiglie nel loro processo di formazione civile. Quando a studiare erano ancora in pochi, riusciva a trasmettere un minimo di istruzione ai ceti più popolari, fornendo loro consapevolezza e capacità di giudizio. Stiamo parlando della Rai, la più grande industria culturale del Paese, che ha portato a lungo la conoscenza e l'informazione nelle case degli italiani. E che quando faceva spettacolo e intrattenimento quasi sempre passava alla storia, segnando epoche e influenzando positivamente il costume e le abitudini.
Oggi, invece, la vecchia "Mamma Rai" è sempre più sola, abbandonata dai suoi figli telespettatori e non certo per colpa loro. E' un fuggi-fuggi continuo, un'emorragia da un milione di unità a botta. Che nell'era del dio profitto significa l'abbassamento dello share complessivo di oltre il 4% e tanti, tantissimi soldi in meno di introiti pubblicitari. La verità è che quella madre si è trasformata in matrigna, una masochista dagli istinti sucidi che non sa più farsi amare dal pubblico.
Il suo flop è sotto gli occhi di tutti. Un fallimento costante, diretta e normale conseguenza delle politiche adottate negli ultimi anni da dirigenti nonimati dalla politica al solo fine di svolgere il ruolo di megafoni del potere. Politiche inspiegabili secondo le logiche di mercato, che hanno costretto i protagonisti migliori ad andare via dall'azienda e molte trasmissioni seguite e apprezzate dal pubblico a chiudere.
Con risultati chiari e crudeli: il 20% di share e gli oltre 5 milioni di fedeli telespettatori settimanali di "Annozero", ad esempio, hanno fatto spazio all'ennesimo doppione dei doppioni "Star Academy", che porta in dote poco più di 1 milione di telespettatori pari ad appena il 6,5% di share; Fazio e Saviano, che rendevano quasi 10 milioni di telespettatori a puntata, sono stati cancellati per compiacere l'attuale padrone/editore e regalati inopinatamente alla concorrenza della rampante e ambiziosa La7; a quella rete vedremo presto anche Serena Dandini, buttata fuori con sufficienza da chi si è affrettato a dire che pure senza di lei lo zoccolo duro "ideologizzato" dei seguaci di Rai3 non avrebbe tradito... e invece ogni sera alle 23 è sintonizzato altrove.
All'interno della Rai tutto sembra andare a rotoli. Ora che il danno è fatto si diffondono inquietudini e si moltiplicano le lacerazioni ai piani alti. Però sarà dura recuperare il milione di telespettatori che ha lasciato (furioso e nauseato) la Rai. Soprattutto l'ammiraglia Rai1 continua a calare di brutto, dalle 20 in poi. Mentre Rai2 fa registrare un calo fisiologico e Rai3, al di fuori della fascia oraria prima occupata da "Parla con me", appare l'unica della compagnia che addirittura guadagna telespettatori: oltre 200 mila. Condizione che la sta portando ad ottenere il giusto riconoscimento di "principessa" di Viale Mazzini, dopo esserne stata a lungo la cenerentola.
Nel solo mese di settembre, quando solitamente riparte il meglio della programmazione annuale, la Rai ha subito perdite notevoli. In particolare l'informazione, col Tg2 calato di un punto di share (232 mila spettatori) rispetto allo stesso mese dell'anno precedente e col disastroso Tg1 di Minzolini (registra stabilmente uno share inferiore a "L'eredità" che lo precede) che ha invece perso per strada, nel giro di dodici mesi, intorno al milione di seguaci. Con prospettive, in quest'ultimo caso, anche peggiori.  Solo che al "Direttorissimo" nessuno può dir nulla, "papi" non vuole", e il direttore generale Lei e il presidente Garimberti, tra una sfuriata e l'altra di circostanza, non intervengono mai come invece accadrebbe in qualsiasi altra azienda che si rispetti.
Un altro bel peso, in tutti i sensi, del prime time è risultato "Qui Radio Londra" di Giuliano Ferrara, puntualmente seguito da meno telespettatori rispetto al già messo male Tg1, tanto che è stato appena deciso di trasferire la striscia di approfondimento curata dall' "Elefantino" alle 14, dopo l'edizione del giorno del telegiornale. Comunque una sorte decisamente migliore di quella toccata al "soppresso" Vittorio Sgarbi (si fa fatica perfino a ricordare il nome della sua "sperimentale" trasmissione) di qualche tempo fa.
Se poi fa flop anche Miss Italia, allora significa che la Rai è davvero alla frutta. In media, il concorso nazionale di bellezza veniva seguito da 5-6 milioni di telespettatori, che quest'anno si sono sconsolatamente ridotti a circa 4 milioni e mezzo. A dimostrazione che la crisi non riguarda solo i talk e i salottini impegnati ma pure i programmi più leggeri. "Me lo dicono tutti" di Pino Insegno, tanto per citarne uno, è stato appena chiuso a causa dell'evidente falsa partenza. Inoltre, serie come "Il segreto dell'acqua" (appena 2 milioni e 368 mila spettatori) e "Tiberio Mitri il campione" (4 milioni e 130 mila) hanno fortemente deluso le attese nonostante i bellocci Scamarcio e Argentero.
Insomma, la Rai sembra essere stata ricacciata in una spirale che la sta giorno dopo giorno demolendo. Le "mosche bianche", i programmi che si distinguono per gli ottimi ascolti in un quadro generale penoso sono, manco a dirlo, "Ballarò" (quasi 5 milioni di telespettatori al debutto stagionale con uno share del 17,66%) e "Presa diretta" (cresciuto di oltre 2 milioni di telespettatori e di 5 punti di share rispetto alla precedente edizione). In attesa che riparta "Report", che sicuramente non sarà da meno.
Finalmente anche Sipra, la concessionaria della pubblicità Rai che a lungo ha finto di non vedere e di non comprendere che la ragione principale del collasso degli introiti finanziari è il più famigerato dei conflitti d'interessi nazionali, ha lanciato l'allarme: andando avanti così, l'azienda dovrà dichiarare default. Chissà, forse è la fine che si merita. Almeno non saremo più costretti a versare quell'ingiusto e odioso balzello che è il canone, buono solo a foraggiare la vecchia e nuova partitocrazia.

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