Come gran parte della popolazione mondiale, a eccezione dei salutisti del corpo e dell'anima, ho sempre avuto grossi problemi con il concetto di "smettere". Mi sento invece rappresentata fedelmente dall'espressione che quel personaggio di Dickens pronunciò nella mensa di quel collegio malfamato della Londra dell'Ottocento, prima di essere picchiato a sangue. Precisamente:
"I want more".Smettere è l'esatto opposto dell'I want more di Dickens, attiene alla sfera della sottrazione, del non si fa o non si può della vita - la parte più odiosa ma ineluttabilmente necessaria, quella dell'autoconservazione. Presuppone questa razionalità che qualcuno definirebbe borghese di posticipare i benefici, togliendosi il piacere di adesso per un dopo più giusto & corretto™. Perché dopo sette anni (sette?!) smetto di fumare e questa cosa assume nella mia biografia un valore storico che merita di essere celebrato. Sono ormai circa venti giorni che non tocco una sigaretta, senza protesi elettroniche, cerotti alla nicotina, gruppi di autoaiuto, balletti motivazionali.Mille volte, durante il liceo, mi rifiutai di accettare una sigaretta, lo trovavo stupido. Iniziai subito dopo, quando le lunghe chiacchierate notturne con la mia coinquilina erano accompagnate dalle sue enormi e soddisfatte boccate che libravano nell'aere montagne di fumi. Del tutto irrazionalmente, cominciai a desiderare le sigarette e il gesto, anch'io volevo fare quelle boccate enormi che mi riempissero di chissà quale immateriale soddisfazione. Bastò poco, e così iniziai, da allora le conversazioni con T. assunsero un'atmosfera più decisamente notturna, da bisca attraversata da strane geografie tossiche nell'aria. La soddisfazione di fumare una sigaretta davanti a una birra in ore improponibili non si può comunicare e non ha prezzo. Poi ci si prende gusto e diventa un rito. Per concentrarsi, per scandire la giornata, per celebrare i momenti di socializzazione, per dare un tributo quotidiano a una certa regressione alla fase orale, molto ben descritta dal film Coffee and Cigarettes, dove a un certo punto si dice, la sigaretta è come il ciuccio.
Dicevo, la cosa più dolorosa al momento è scrivere senza fumare, di questa mancanza niente potrà risarcirmi abbastanza, ho la sensazione di non dare il meglio scrivendo senza una sigaretta. Per non parlare della contemplazione teoretica. La prova "altre-persone-che-fumano-davanti-a-te" l'ho già superata. E' curioso che tutti i fumatori tendano a negare la tua capacità di resistenza - dicono, tanto poi riprendi! E no che non riprendo. Chissà, forse gli serve per non ammettere che smettere, dopotutto, è possibile? :)
Se penso alle serate con T., penso a quanto sia incredibile restare legati a un gesto per anni, che avrebbero potuto tranquillamente triplicarsi senza che quasi me ne accorgessi. Nel frattempo T. è sparita, ma le sigarette sono rimaste. Prima le Lucky Strike, poi le Camel, poi le Gauloises, poi il tabacco; non ne fumavo poche, e c'erano periodi che davvero esageravo. Non avevo mai provato veramente a smettere, semmai lo facevo convinta di ricominciare, perché fondamentalmente fumare mi piaceva, e mi piace anche ora che benché I want more ho deciso di smettere. Perché dietro questo "more" finisce per esserci molto tempo, e immaginarmi fra dieci anni ancora col ciuccio in bocca non rientra esattamente tra le mie ambizioni. Il guaio è che adesso c'è il serio rischio che diventi una salutista: la sola idea mi fa orrore, aiuto. Infatti ho smesso anche di bere caffè, che praticamente bevevo sin da quando ero in fasce, almeno due o tre al giorno. Ho smesso per un motivo banale: dovevo togliermi un dente del giudizio, e quella mattina prendere il caffè avrebbe significato sbroccare sotto i ferri. Il giorno dopo ho pensato, beh, a questo punto, non lo bevo più. Ci sono casi che è meglio la camomilla.
Le dipendenze hanno quella dose insostituibile di lussuria, ma mi secca quell'aria di obbligatorietà che assumono da un certo punto in poi, questo tiranneggiare sulla tua vita col tuo consenso. Il motivo più profondo, però, è che ho voglia - o forse, bisogno - di cambiamenti. Se c'è una cosa rispetto alla quale sono strutturalmente inadatta è la routine, ogni forma di ripetizione. Le sigarette e il caffè facevano parte di questa ripetizione, smetterli è un modo per dirmi che mi sono stufata di una routine anche sotto il profilo, come dire, esistenziale.
Ma non mi dirò felicemente redenta, dalla parte della gente in salute che fa, come si dice spesso con toni ospedalizzanti, "uno stile di vita sano". Le sigarette mi mancano, mi manca fottermene, sentirmi illusoriamente esentata dai problemi potenzialmente causati dal fumo. Le sigarette sono un lusso arrogante, un piacere lascivo. Per fumare ci si deve sentire un po' immortali, è prima di tutto un atto di incoscienza; smettere richiede la preoccupazione per il proprio futuro, l'autoconservazione, la cura del sé. Quest'oblio incosciente, sarà dura farne a meno, ogni tanto penso che I want more...no, non torno indietro. Non mi lascerò sedurre di nuovo da un gesto così comune, così volgare.
Devo ammettere che non mi sarei mai creduta capace di resistere a un desiderio del genere diventato routine, quasi un'appendice di me stessa. Non ci si sottovaluta mai abbastanza. Tanto che ci sto prendendo gusto. Voglio liberarmi anche di tutte le altre cose inutili che mi hanno progressivamente colonizzato le giornate. Tornare all'essenziale. Non voglio togliermi tutti i vizi: ci sono vizi essenziali e vizi inessenziali, si tratta di eliminare questi ultimi. Pretendo un margine di scelta ampio sui miei vizi, voglio scegliermeli con cura.
Mi sento molto Zeno Cosini a scrivere questo post che più che un post è un esorcismo. Come minimo adesso devo farmi un regalo, un regalo enorme, voglio un bel regalo...