Certi avvenimenti azionano in noi un monologo interiore di immagini che ci catapultano in strane realtà e mondi paralleli.
Oggi ero al supermercato e sono stato letteralmente travolto da un incontro un po’ particolare: mentre spingevo il carrello, immerso nei miei pensieri, ché spingere un carrello a volte ti spinge a tua volta nei meandri inesplorati della psiche, nel mistero più recondito dell’inconsapevolezza umana, dove è lecito domandarsi e rispondersi che è meglio una gallina oggi che un uovo scaduto domani, sentendomi osservato mi fermai: ero davanti a un interminabile scaffale, pieno zeppo di confezioni di latte. Centinaia, forse migliaia, lì ferme in riga e immobili; bottiglie, cartoni, plexiglass, decine di formati, marche colori, prezzi, e generi: parzialmente scremato, scremato, doppiamente scremato, intero, intero scremato, parzialmente intero. E in quella bolgia, in quel tripudio di grida silenziose, guardo gli occhi di un colpevole inconsapevole riflesso nel vetro del bancone frigo, che ospita altre confezioni di latte fresco, pastorizzato, a breve e a lunga conservazione, pecorino, vaccino, d’asina e caprino: sono io.
Cerco di andare avanti, evitando di guardarmi intorno. La situazione è tesa. Io, consumator fedele, adesso mi sento imputato in un processo senza avvocati, senza difese. Cerco d’individuare una qualsiasi autorità super partes : nessuna traccia. Allora cerco una qualsiasi confezione di latte da prendere in ostaggio, o semplicemente con cui poter dialogare. Niente da fare.
Non posso lasciarmi vincere dalla soggezione; centinaia di scatole, confezioni, bottiglie di latte non possono decidere di puntare un cliente qualunque, a maggior ragione se costui è anche un fedele consumatore…
D’improvviso un momento di ingenua lucidità mi assale: un’istante, un fulmineo slancio verso la Verità; una voce, sembra incazzata, distoglie la mia colpevole attenzione: “Il latte, l’abbiamo già preso”.