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Un sabato qualunque

Creato il 17 ottobre 2011 da Alesan
Un sabato qualunqueLa prima cosa che pensi di un sabato qualunque ed ovviamente italiano, è che non è cambiato molto. Dieci anni fa stavamo tutti increduli di fronte alla TV, o direttamente per le vie di Genova, ad assistere al disfacimento di un'idea, di una manifestazione e di un confronto tra pensieri opposti. Oggi siamo di nuovo a chiederci come sia potuto succedere. E' difficile fare un'analisi logica e cercare di uscire dalla propria idea o, peggio, dal luogo comune, ma alcune cose sono lampanti, evidenze che si tracciano nel corso degli anni e si ritrovano di volta in volta come cromosomi comuni alle rivolte di piazza. La moda del decennio è il blocco nero, una volta li avremmo chiamati semplicemente gli autonomi, una definizione che identifica il tutto e il niente, il vuoto di comprensione che vi è dietro lo scontro violento e la ricerca della guerriglia a tutti i costi passando per il danneggiamento di luoghi e automobili ferme lì probabilmente per caso. Michael Moore ha fatto tante cose sciocche e alcune molto interessanti. Il suo primo libro, Stupid white man (Mondadori, 2003), comincia con un assunto: ho paura ad incontrare persone di colore per strada ma non se incrocio qualche cravattaro viso pallido, eppure è proprio quest'ultimo, navigato stregone di Wall Street, che ci fotte la vita. Se ci pensate non è molto diverso dallo sfasciare vetrine: la gente teme questi gesti di violenza, condanna queste operazioni di guerriglia contro le vetrine delle banche. Eppure, passata la nottata, tutti condannano le banche in quanto criminali che affamano i popoli e le famiglie dei lavoratori. Di fatto si condannano due azioni criminali senza riuscire bene distinguere quale sia il lato grave della situazione e perdendo di vista il perché siamo arrivati fino a questo punto. "E' più criminale chi sfascia una vetrina di McDonald's o McDonald's che contribuisce a deforestare l'Amazzonia?" si chiedeva una giovane del Genoa Social Forum pochi giorni prima le violente giornate di Ge2001. Già, chi è più violento? Ma, soprattutto, oltre le immagini televisive e i tromboni dell'ultima ora, voi, un'idea ce l'avete? Io non lo so bene, ma un'analisi che richiederebbe tremila pagine la vorrei anche fare... proverò a ridurmi in poche righe.
Senza prospettive, senza progettualità
Ho sempre avuto un debole per gli anarchici, ma serve riconoscere l'incompatibilità attuale di questa dottrina col resto del mondo reale. La progettualità di alcune schegge locali spesso porta a ottime iniziative e a discreta partecipazione, ma il tutto affonda costantemente sul lungo termine quando certe applicazioni devono scontrarsi con la vita di tutti i giorni. E' un difetto congenito dell'anarchismo, difetto che può essere trovato anche nelle sinistre estreme (o le destre, se per questo), perché utopistico e basato sull'idea che i "miei disegni" siano talmente perfetti che finiranno col convincere tutti che ho ragione. Un teorema molto religioso da sempre inseguito da tutti i movimenti, spontanei o meno, politici o meno, che ha come fine una sorta di paradiso terrestre, il che mi ha sempre fatto pensare a quanto siano insurrezionalisti i Testimoni di Geova. L'autodeterminazione, l'illuminato buonsenso, il distacco da ciò che è vecchio e quindi (per loro) inutile. Ma se gratti sul fondo non trovi nulla. Troppe anime e troppe teste portano ad avere tante parole d'ordine, tanti slogan, ma nessun progetto. E lì affonda il tutto. La manifestazione di sabato a Roma non lascia idee non per colpa dei violenti, ma perché è falso sostenere che gli Indignati rappresentano il 99% della popolazione come loro (loro chi?) sostengono. Dentro quel loro 99% ci sono partiti, sindacati, associazioni, gruppi politici che appoggiano ed aderiscono alla manifestazione di protesta ma che hanno a capo organizzazione, idee e, soprattutto, programmi che non possiamo pensare identici a quelli di tutti i partecipanti.
Ricostruire una "vera democrazia" non significa demonizzarne i sistemi, eventualmente è l'idea di eliminare coloro che l'hanno ridotta così. Cercare di cacciare Berlusconi e Bersani dal loro posto non significa disdegnare il principio dei partiti e della democrazia parlamentare, semmai è l'opposto: significa tentare di riappropriarsi di tali istituzioni, di riempire il contenitore di nuove idee da sviluppare per il futuro. Eliminare la società che conosciamo, in tutto e per tutto, significa pensare anarchico, distruggere tutto per realizzare qualcosa di nuovo. Detta così, quanti anarchici (veri) pensate ci fossero alla manifestazione di sabato? E quanti sono i disillusi che dietro lo slogan sperano di nascondere un progetto che, inevitabilmente, andrà poi appoggiato da quel 99% fatto di altre idee e altri progetti rischiando in realtà di frantumarsi?Ci autogestiamo, facciamo spettacoli e dibattiti, vogliamo un'assemblea permanente. Tutto questo risponde alle esigenze di chi? Ai bisogni di chi? Alla volontà di chi? Esattamente... nessuno rappresenta gli Indignati, dicono, ma anche loro non sembrano rappresentare le istanze di chicchessia se non quelle di varie individualità che agiscono spinte da ottime idee ma senza programmi chiari. Detto che rispetto ogni discesa in piazza e amo vedere i giovani darsi da fare per creare qualcosa che non sia concludere un difficile livello di Halo, gli slogan figli del "non appartengo a nulla" non possono che sfociare alla lunga nel qualunquismo. Subito dopo è l'ora del "già detto" e "già fatto". Se non c'è un programma a lungo termine, queste esperienze falliscono. Come fallirono i Social Forum nati in ogni angolo della Penisola, figli di troppe anime differenti che pure un'idea molto più condivisa di oggi l'avevano e rispondeva al nome "un altro mondo è possibile". Un'altra economia, un'altra democrazia, tante piccole realtà tutte impegnate nel proprio scopo che avrebbero potuto formare un'ideale comune se solo avessero voluto davvero cambiare il mondo. Perché per cambiare serve progettualità, condivisione, lavoro. Rispetto.
In mezzo al nulla, alle manifestazioni spontanee si nasconderà sempre il blocco nero, quello che trama nella zona grigia e sogna distruzione e (forse) rinascita di un nuovo mondo. Costruito sulla violenza, come quello che tanto viene contestato oggi, il mondo delle banche che fanno la guerra e vendono la droga.
La stampa, la democrazia
Vincere la violenza di certi gruppuscoli significa permettere a ogni cittadino di avere il proprio spazio quando contesta le scelte del potere e lo fa pacificamente e con delle idee su cui discutere. Perché questo avvenga occorrerebbe che nel mondo vi fosse davvero una stampa libera. Non libera da Berlusconi ma libera di esprimersi e di essere non solo organo di informazione ma anche una mano tesa verso le comunità che hanno qualcosa da rivendicare. L'avvento del web ha ridotto l'utilità dei media tradizionali a un "quasi" nulla, se questi poi si lasciano ulteriormente scavalcare dai blogger allora è finita. Eppure TG e quotidiani restano in larga parte il maggior viatico all'informazione per l'italiano medio (cioè per gli italiani). E allora perché la Val di Susa diventa un caso solo quando il comitato dei cittadini è infiltrato da facinorosi che decidono di metterla sul piano dello scontro, più o meno a ragione? In quel momento interviene la stampa, famelica di notizie che possano dare uno scossone al pensionato davanti alla TV, ma ormai è tardi e i veri protagonisti del luogo sono prevaricati da ingiustizia e manganello con la complicità di un'informazione affamata di sangue e violenza.
Qualcuno ricorda speciali o interviste sulla Marcia della pace di Assisi? C'è ogni anno, ma pare che fin quando qualche black bloc non deciderà di trasformarla in marcia del sampietrino nessuno darà poi troppa importanza alla questione. Si dice che a Roma vi siano 300 manifestazioni l'anno: alcune sono per una diversa politica abitativa, altre per i problemi d'inquinamento nella capitale, altre per l'integrazione e la cultura. Qualcuno ve ne parla? Esiste almeno una mezza paginetta da qualche parte? No. E l'indifferenza verso chi via via è emarginato alla lunga si trasforma in depressione per chi subisce questo trattamento. Poi ci si indigna. Alla fine qualcuno si incazza pure. E quando uno è incazzato non sempre ha bisogno del passamontagna per esprimere la propria rabbia repressa. Un cittadino deve essere tale tutti i giorni e come tale deve essere trattato. Nessuno è in grado di risolvere i problemi di ognuno, ma avere la volontà di dar voce alle persone, di far sì che sentano la presenza degli altri, di quelli che non conoscono il loro problema, a volte è già un grande passo avanti. E rende un paese (a)normale un paese civile. E democratico. Poi, in futuro, saremo tutti anarchici, ma se non facciamo prima questo passaggio saremo il nulla.

Blocco nero
Il blocco nero è dentro ognuno di noi. E' l'ipocrisia che celiamo nel nostro interno, l'individualismo per cui proviamo a sopravvivere, la rabbia celata dietro i sorrisi e le buone maniere, un'educazione un po' così, che non ci ha insegnato perché il rosso è rosso e il nero è nero, tutto era da dare per scontato e soltanto i più curiosi hanno tirato fuori la testa dalla sabbia. Il blocco nero è un'invenzione pubblicitaria, dentro quelle risse ci sono alcuni centri sociali, alcuni gruppi di ultras, alcuni disadattati, alcuni violenti, alcuni scalmanati politicizzati, alcuni che il sabato pomeriggio non hanno nulla da fare. Non c'è nulla e c'è tutto. Il blocco nero è la politica che non ascolta gli avvisi di emergenza, che svuota le città da agenti di polizia perché deve blindare i luoghi del potere, col timore che qualche centinaio di persone possa entrare in Senato e dargli fuoco. Esistono modi migliori per proteggere luoghi sensibili. E modi migliori per rendere le città più sicure. I primi due sono la cultura ed un benessere diffuso, poi viene il resto. Cominciando dal ridare la politica nelle mani della gente e dar loro una prospettiva di crescita e di impegno sociale.
Venerdì i metalmeccanici scioperano. A Roma, tra gli altri, ci saranno 7-8 mila persone che hanno perso il posto di lavoro negli ultimi mesi. Persone con famiglia, con un futuro oscuro e incerto. Persone cui è stato tolto tutto, anche la parola. Quanta gente sarà disposta a dar loro voce se nessuno di questi disperati e dimenticati da tutti non si attirerà le attenzioni del Reparto Celere spaccando una vetrina? Ci troveremo di nuovo, sabato mattina, a chiederci se faccia più paura la vetrina spaccata o l'alta finanza. Sappiamo la risposta e non vorremmo dire nulla. Vorremmo che un giorno nessuno ci ponesse più questa domanda perché la risposta è sempre sbagliata, non si vince niente. Si lascia sempre e non si raddoppia mai.

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