E' stata approvata la legge sulla prescrizione breve, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio per prescriversi brevemente nel processo Mills. Se x è stato ritenuto colpevole di essersi fatto corrompere da y, vuoi che y venga poi assolto dall'accusa di aver corrotto x? Specie perché x non si chiama x ma Mills e y non si chiama y (se mai, si chiama Bett-y), ma Berlusconi? Questo deve aver pensato il Premier, o chi è pagato per pensare al suo posto. Come Angelino Alfano, che non è un alunno briccone al secondo anno di asilo ma un allievo senza pelo sullo stomaco (y avrà regalato anche a lui una macchina per la depilazione?), che ha subito ottenuto ciò per cui, verosimilmente, si è così sporcato le mani: l'investitura a delfino: chance che non è stata del Fini. (Bonaiuti si è subito affrettato a smentire: ragionamento enfatizzato. Alfano non è un delfino, al massimo del plancton). Peccato che per gratificarsi a vicenda i Berngelino, invece di prenotare un albergo a ore, assicurino l'impunità a parecchi reati di manigoldi del loro livello, dalla Parmalat al disastro di Viareggio alle violenze carnali. L'unica cosa che mi sento di aggiungere su questa ennesima brutta faccenda è che nonostante strepiti, profferte, punti di Pil accantonati per comprare ulteriori parlamentari, dal 14 dicembre non è cambiato nulla alla Camera. In due voti fondamentali per il Premier, quello su "Lui pensava che fosse la nipote di Mubarak!" e quello su "Strizza dopo la condanna di Mills!", la maggioranza nel ramo del lago del Parlamento che volge al tangentizio è rimasta ancora e sempre la stessa: 314 deputati. Certo, non si trattava di un voto di fiducia, che richiede la maggioranza assoluta (la metà più uno), tuttavia siamo ancora tutti appesi a Domenico Scilipoti e alla sua medicina olistica. Non si sa se sia più un bene o un male. Di fatto, si tratta comunque di una sconfitta: una volta tanto, il Pd ha fatto un gesto doveroso seppur malinconico: votando no con una mano e sventolando la Costituzione con l'altra. Un'ennesima dichiarazione d'impotenza, in fondo.
Ecco, io vorrei parlare per un attimo dell'impotenza - avvertendovi che non parlerò né di Walter né di Viagra, ma dell'impotenza della verità, il che vi rende ancor più del solito autorizzati a cambiare pagina.
Mi interessa riflettere brevemente sulla "Filosofia di Berlusconi", prendendo spunto da un prezioso quanto isolato tentativo di comprensione pubblicato già con successo da alcuni notevoli (in specie Bernini e Guaraldo) filosofi dell'Università di Verona. Ovviamente io non farò nulla a quel livello, ma consentitemi, come si direbbe in Parlamento, di svolgere alcune considerazioni.
Uno degli aspetti caratteristici e inediti del berlusconismo è, mi pare, il peculiare regime di verità nel quale siamo incappati. Sul tema della verità e della menzogna in politica mi sembrano ancora fondamentali le analisi di Hannah Arendt, che possiamo ricondurre a due fasi. In un primo momento, con il suo lavoro su Le origini del totalitarismo, Arendt qualifica la menzogna come dispositivo coessenziale al potere per confermare di volta in volta la sua ideologia. Intestandosi la conoscenza delle leggi che governano la realtà o addirittura proponendosi di modificarle, i movimenti totalitari hanno l'esigenza, per la loro propaganda, di leggere quanto accade in modo da avvalorare le proprie tesi. Quando queste si rivelano prive di un sostrato adeguato, essi ricreano la realtà come un meccanismo regolato da quelle stesse leggi che essi possiedono e governano. Divenuti regimi, i totalitarismi, che, come dice la parola stessa, ambiscono ad un controllo esaustivo del reale, fino agli stessi corpi dei loro sottoposti, portano la menzogna al cuore del potere: la verità è la particolare versione dei fatti, riprodotto dal potere, che conferma, ratifica. Sui manuali scolastici sovietici, era l'esempio di Arendt, si legge che l'unica metropolitana esistente al mondo è quella di Mosca. Ciò che a noi appare palesemente falso è funzionale al rafforzamento del potere, che vive solo se è continuamente accresciuto e rafforzato. Le coscienze sono così plasmate al modo in cui il totalitarismo le vuole formare: credere di vivere in un mondo in cui l'unica metropolitana è quella di Mosca vuol dire assicurarsi di stare nel paese più sviluppato, più avanzato. La cortina di menzogna che asserraglia l'individuo lo isola, lo atomizza: egli è sottoposto al regime di verità (cioè di menzogna) del potere totalitario, fino al punto, come nel caso dei famosi processi farsa dello stalinismo, di giungere ad autoaccusarsi e ad accettare la pena capitale per reati mai commessi perché ormai ridotti ad ingranaggio di un complessivo quanto impenetrabile sistema che può richiede l'eliminazione degli umani per perpetuarsi. La menzogna diventa, così, indistinguibile dalla verità, nel senso che non esiste alcuna possibilità di districare la trama di bugie e ricostruzioni artefatte in cui il potere tiene in scacco le persone. La "verità" è unicamente strumentale al totalitarismo (ovviamente, altrettanti esempi si possono fare a proposito del nazismo).
La seconda fase della riflessione arendtiana amplia il quadro: la menzogna in politica è, al di là del caso specifico e inedito dei totalitarismi, fenomeno della vita politica in quanto tale, e riguarda dunque le stesse democrazie. La realtà in cui viviamo offre il fianco a questa possibilità di finzione: nulla accade per necessità, come risultato di un meccanismo deduttivo: tutto è contingente, ovvero può, appunto, essere altro da come è. Arendt analizza, soprattutto, i fenomeni di crisi della democrazia statunitense, da lei così amata. Nel testo più interessante di questa "seconda fase", cioè La menzogna in politica, Arendt riflette sulla pubblicazione dei Pentagon Papers, documenti riservati del Pentagono che dimostrano come il governo USA avesse scientemente falsificato le notizie sulla guerra del Vietnam per convincere i cittadini della sua necessità e del suo prolungamento e per far credere che essa stesse avendo successo (Wikileaks, in fondo, non scopre nulla). Ebbene, Arendt vede qui un salto di qualità rispetto al totalitarismo. Anche governi liberamente eletti, democratici, si servono della menzogna per mantenere il potere ed influenzare il voto. La propaganda negli anni sessanta è però di nuova fattura: essa è affidata ai creativi di Madison Avenue (Mad men, per intenderci), dunque alle tecniche della pubblicità. La politica diventa un prodotto di consumo, che deve risultare allettante e "acquistabile", e, dunque, di cui conta soprattutto l'immagine. Ecco, l'immagine. A quanto ne so, soltanto in questo testo Arendt dice una cosa molto interessante: la facoltà dell'immaginazione è una "fonte comune" tanto dell'azione quanto della menzogna. La capacità inventiva, creativa, quindi anche finzionale dell'immagine, adagiata sulla realtà a coprirla, a mistificarla, diviene sorgente di azione: la menzogna in politica è efficace, produce effetti, orienta e dà il tono ad un'azione politica volta a preservarsi anche tramite la falsificazione del proprio operato.
Arendt (e qui stiamo tornando a noi) ritiene però che "i fatti siano ostinati", ovvero che la realtà faccia resistenza alla menzogna: che sia dunque possibile, in linea di principio, distinguere il vero dal falso e dunque oltrepassare la menzogna opponendole la verità. Jacques Derrida si è soffermato su questo punto della riflessione arendtiana, sostenendo che esso riveli un ottimismo gnoseologico, una fiducia "classica" nel vero che è tutta da dimostrare. Il problema, per il filosofo algerino, è che, in realtà, la menzogna ha una storia e che dunque rimane incistata nel vissuto di una comunità anche oltre la sua demistificazione. A me viene in mente l'esempio del negazionismo a proposito della Shoah: la quantità soverchiante di documentazione a proposito non impedisce ad alcuni, per quanto pochi possano essere, di sostenere che ad Auschwitz non c'erano forni crematori e camere a gas ma piscine per gli ebrei. La menzogna ha una storia, e continua a produrre effetti al di là, pare, dell'ostinazione dei fatti a smentirla. Il che ci conduce a pensare che il problema della verità e della menzogna in politica non possa essere ricostruito secondo una netta polarità tra il vero e il falso. Soprattuto a causa della natura di immagine che la menzogna acquista e che irretisce, persuade in un modo diverso dalla verità. La menzogna in politica non è offerta o assorbita per le stesse ragioni per le quali si ricerca, al suo opposto, la verità dei fatti. Essa funge piuttosto da lenitivo, calmante, terapia delle angoscie di tutti noi. Essa è connessa ad una semplificazione impoverente della realtà che fa il gioco di chi non vuole saggiare lo spessore dei problemi, comprendere, ma individuare un nemico, un capro espiatorio e/o una spiegazione tranquillizzante. C'è la disoccupazione? E' colpa degli immigrati che rubano il lavoro agli italiani. C'è la disoccupazione? Ma no, è stabile (in realtà, non aumenta perchè in tanti sono così rassegnati che nemmeno più lo cercano un lavoro, e quindi statisticamente non contano). Questa divaricazione di origine e di intenti della menzogna rispetto alla verità è anche la ragione per cui, chi si crogiola nella mistificazione, che, per risultare credibile, conterrà comunque quel tanto di verità da renderla rassicurante, difficilmente sarà disposto ad abbandonarne il porto sicuro per aprirsi al mare tempestoso quanto ignoto dell'accertamento della verità.
Ecco perché l'immagine fornita dalla menzogna appare preferibile alla realtà effettiva.
Giungiamo così al berlusconismo, motivando così questa lunga trattazione. Io credo che ci troviamo davanti ad una "terza fase", ad un salto di qualità, che forse ha uno spettro più ampio ma che qui mi interessa esplicitare quantomeno in relazione al berlusconismo. Fino a questo punto possiamo comunque, per quanto a fatica, pensare che dire la verità abbia un valore liberatorio e purificatore. L'immagine tanto antica dello squarcio di luce che illumina l'oscurità e scaccia le tenebre ne è il modello. Il problema, forse imprevisto, è che ci troviamo in una situazione in cui non solo, come nella "seconda fase", la libertà di stampa e di opinione permette a tutti di dire e di conoscere la verità, e dunque di demistificare le menzogne del potere. Ma in cui lo stesso potere, quando è attaccato, arriva al punto di non negare che le cose stiano diversamente da come dice, o a negarlo solo per finta, platealmente per finta. La verità quindi non solo c'è, è data esplicitamente, ma è chiaramente opposta alla menzogna. Eppure, paradossalmente, questo permette ad esse di coesistere senza problemi.
Faccio un esempio. Tutti sappiamo che il bunga bunga con le minorenni c'è stato. Ci sono testimonianze, fotografie. Berlusconi nega e ammette insieme, ed è questo, al di là della farsa, il senso delle sue parole. I suoi parlamentari, i suoi elettori, sanno che è colpevole, e che le panzane che inventa per giustificarsi sono appunto tali. Lo manifesta lui stesso nel modo in cui le dice. Eppure questo ingombro, questa quasi sovrabbondanza di verità è del tutto inefficace. Non accade nulla. Possiamo credere che sia colpevole e allo stesso tempo pensare che i giudici complottino contro di lui, che Ruby sia e non sia una prostituta, che il premier l'abbia pagata per fare e per non fare la prostituta. Verità e menzogna non solo non sono due polarità distinte, ma sono del tutto coesistenti. Da un giorno all'altro possiamo passare dall'una all'altra. Il regime delle immagini che viene da Madison Avenue ha fatto molta strada. Un'immagine di verità trascolora fluidamente nell'altra senza fare più resistenza. E quel che è ancora più importante, senza che si dia più un vero dispositivo di potere che controlla la menzogna. Non esiste, come in 1984 di Orwell, un Ministero della Verità che ogni volta che la versione del potere cambia cancella i vecchi documenti e li sostituisce con quelli modificati. Vecchie e nuove versioni si affastellano l'una sull'altra senza creare più né scandalo né riprovazione. A volte non ce ne accorgiamo nemmeno. Berlusconi ha negato di aver telefonato in Questura a Milano sostenendo che Ruby fosse la nipote di Mubarak, poi per tattica difensiva ha detto il contrario. Qualcuno glielo fa notare? No. Ci sembra del tutto naturale e plausibile (non serve arrivare alla finta terremotata di Forum). Egli nonostante tutto gode di un consenso ancora forte. Verità e menzogna non solo coesistono: l'una vale l'altra.
La realtà, in tedesco, è Wirklichkeit, è, letteralmente, effettività, ciò che produce effetti, ciò che "funziona", ciò che è efficace. Ecco, l'ultimo esito del declino della politica sottoforma di berlusconismo è una verità del tutto inefficace. Spero tanto di sbagliarmi.
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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