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Vendere gioia

Creato il 17 gennaio 2011 da Lanterna
Ieri ho fatto un'esperienza molto bella: ho lavorato a un chioschetto che, all'interno di Eataly, distribuiva assaggi dei formaggi dell'azienda dove lavora Luca. Eravamo in 4: lui ed io, il titolare e la moglie.
Abbiamo venduto tantissimo (ma pare che in questo genere di promozione si venda 5 volte di più del normale), abbiamo parlato con un sacco di gente e abbiamo scoperto un mondo che mi era stato nominato più volte, ma che avevo solo sfiorato.
Per chi non lo sapesse, Eataly è una specie di superstore della gastronomia di qualità, legato ai presidi Slow Food e a iniziative di promozione dei prodotti tipici e genuini. Da pochissimi giorni, Eataly vende anche i formaggi delle Cascine Orsine ed è per presentare i nostri prodotti che ci è stata data la possibilità di promuoverli nello scorso weekend.
Eravamo posizionati ovviamente nella zona salumi&formaggi, al confine con la zona della carne e con una buona visuale sul banco delle verdure.
Ecco, io non so chi sia Farinetti e perché al proprietario dell'acqua Lurisia possa convenire mettere su Eataly invece di vendere tutto alla prima multinazionale e andare a godersi i soldi alle Bahamas. E non voglio neppure stare a speculare sul giro d'affari di Slow Food, di cui condivido la filosofia di fondo ma non sempre il modo in cui viene attuata, tantomeno le battaglie.
Mi limito a raccontarvi quello che ho osservato ieri e a spiegarvi perché mi sono sentita bene, nonostante le 6 ore in piedi e la sfacchinata di andare e venire da Torino in 24 ore con figli a carico (gentilmente babysitterati dai nonni locali).
La mia prima impressione, entrando nel negozio alle 10 del mattino, è stata di serenità e armonia. Mutatis mutandis, lo paragonerei a IKEA: una comunicazione pacata, la cura del dettaglio anche nel disporre le cipolle, la spiegazione delle scelte aziendali (per esempio, quella di non mettere il numerino al banco dei formaggi).
La seconda impressione, data dal giro di "perlustrazione" prima che cominciasse ad arrivare il grosso della gente, è stata quella di essere nel paese dei balocchi: che bella carne, che bel pesce, che belle verdure, quanti formaggi, che figata l'angolo dei libri (alcuni tra l'altro molto economici, nonostante fossero rilegati), oddio quanti utensili meravigliosi, impazzisco per la gazzosa e il chinotto della Lurisia, che profumo dall'angolo pizze e focacce, il chioschetto della gelateria San Pè.
Poi abbiamo cominciato a darci sotto con assaggi e vendite: tra le 10.30 e le 12.30 c'è stato un afflusso pazzesco di gente, sembrava che tutti volessero i nostri formaggi. Credo che, se avessimo messo all'asta le ultime vaschette di spettinato o l'ultima fetta di nostrano, le avremmo vendute per una bella cifra.
Il contatto con la gente è stato di due tipi: da un lato i clienti e dall'altro i dipendenti di Eataly. Questi ultimi erano tutti mediamente giovani e davano l'impressione di trovarsi proprio bene a lavorare lì, nonostante fosse domenica: sorridenti, gentili, non mancavano mai di scambiare due parole con i clienti (tipo la ragazza del banco verdure, vedendomi tirare fuori la borsa-palla di Decathlon: "Che figata! Dove l'hai presa?"), sembravano formare una squadra affiatata. Mi hanno ricordato il clima che si respirava nel mio master o nel mio primo posto di lavoro.
I clienti non mi sono sembrati molto diversi da quelli che vedo nei supermercati, ma con una differenza: tutti i loro bambini, da neonati a grandicelli, mi sono sembrati educatissimi, contenti e curiosi. Un'atmosfera molto diversa da quella dei bambini lagnosi trasportati nei carrelli della spesa al Bennet o all'Esselunga. Insomma, erano bambini in grado di non risvegliare l'Erode che c'è in me, nonostante fosse quasi ora di pranzo (e quindi un po' di nervosismo poteva starci, da parte mia e loro).
All'ora di pranzo, attirata da una tagliata bellissima, ho insistito brevemente con Luca per andare al ristorantino della carne. Io ho preso la famosa tagliata (ottima, ma secondo me di qualità leggerissimamente inferiore a quella delle Cascine Orsine) e ho molto apprezzato che fosse accompagnata non da una foglia di insalata simbolica, ma da qualche patata arrosto e da una bella insalatina di valerianella (volgarmente detta "galinetta" in dialetto pavese). Luca ha preso il goulash, ma ne è stato un po' deluso (abituato ai miei stufati e spezzatini, l'ha trovato un po' duretto).
Alla fine della giornata, mi sono ritrovata a pensare di aver sbagliato tutto il mio percorso professionale: forse non sarei tagliata per produrre cibo, ma venderlo è veramente il mio mestiere. Lo vedo come una missione, perché vendere buon cibo significa garantire agli altri un momento di piacere e di gioia.
E mi sono ritrovata a pensare con nostalgia alla macelleria di mio nonno.

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