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Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata (Messaggio in bottiglia 3^ puntata)

Da Lundici @lundici_it

Dopo due giorni Fausto si mise in contatto con me. Non gli avevo lasciato alcun recapito ma gli bastò dare un’occhiata in rete per rintracciare i miei numeri telefonici. Mi chiamò alle sette del mattino, un po’ presto considerando che fosse di sabato, giorno di riposo, ma in fondo per me avrebbe potuto chiamare anche in piena notte. Il suo bisogno di parlare era più importante di un po’ di sonno, c’è sempre tempo nella vita per recuperare qualche ora di sonno.

Il tono pacato di Fausto non si sposava affatto con la frase che proferì: «Avrei urgenza di parlarti da vicino, è molto importante. Potrei venire a casa tua?». «Quando vuoi, anche stamane» gli risposi. «Bene, starò a Cicciano a breve, verrò col treno. Ciao.» «Va bene, ti attenderò alla stazione. Ciao.»

Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata  (Messaggio in bottiglia 3^ puntata)
Mi preparai in tutta fretta, saltando il piacevole rituale mattutino della colazione insieme a mia moglie, e mi avviai. Mentre mi recavo alla stazione, ripensai alla nostra conversazione del giovedì precedente, alle sensazioni che ne seguirono e che mi accompagnarono lungo la strada del ritorno. Osservando la pianeggiante distesa di terra che si attraversa per arrivare al mio paese, mi soffermai sull’opera immaginata da Federico II, che non a caso si guadagnò l’appellativo di “Stupor mundi”. Quando Federico II istituì l’università a Napoli, la città contava 35.000 abitanti… sarebbe bastata solo un po’ di apertura e oggi Napoli sarebbe “un paradiso abitato da angeli”.

Dopo poco giunsi sul luogo dell’incontro, ero al contempo entusiasta e preoccupato. Mi sedetti su una panchina ai bordi dei binari e cominciai a sfogliare il quotidiano che avevo poco prima acquistato. Vengo irrigidito da due notizie di cronaca, tanto da non avvedermi di parlare a voce stesa: «Ma quando la invertiremo questa rotta. Forse da queste parti pensano sia rotta per davvero, è per questo che non la invertono». Poi mi resi conto che ero da solo, che parlavo da solo e… mentre pensiamo alle cause, non possiamo tralasciare gli effetti, soprattutto quelli che ti arrivano dritti al cuore, come il caso della ventottenne studentessa di scienze motorie che si è tolta la vita nei bagni dell’università Parthenope, o altri che non sai neanche più dove ti colpiscono, come quello accaduto in una caserma in provincia di Caserta: scoppia una lite furibonda tra due carabinieri che finisce in tragedia, due morti.

Per il caso della studentessa che aveva anticipato la sua dipartita, mi aveva colpito la reazione di una docente: “Oddio, è qualcuno che ho bocciato?” Un docente universitario non può avere sensi di colpa del genere. Un insegnante che compie il proprio dovere, seppur umanamente scosso, non può esprimersi in questo modo, un suicida merita il massimo riguardo possibile.

In una società farisaica, dove l’uomo è solo un mezzo nelle mani di chi detiene il potere, succede anche questo, ci si occupa di chi ha bisogno d’aiuto quando è troppo tardi.

Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata  (Messaggio in bottiglia 3^ puntata)
Mentre ero assorto nei miei pensieri, arrivò il treno. Fausto scese dal primo vagone e s’incamminò verso di me. Notai che aveva tra le mani un foglietto e sul volto stampato un sereno sorriso, che mi contagiò all’istante. Ci salutammo affettuosamente, come dei vecchi amici, e ci dirigemmo verso casa mia. Mentre procedevamo verso la piazza, Fausto notò il corso circolare e, al centro, un grande caseggiato. Incuriosito da quella struttura di case, mi chiese notizie sull’origine del paese. «Fausto, un tempo in luogo del caseggiato sorgeva un antico maniero, dotato di ponti levatoi tali da permettere, agli abitanti della casa-fortezza e ai loro graditi ospiti, di sormontare l’ampio fossato.»

Gli abitanti di Cicciano nel tempo hanno cancellato ogni traccia.

Il fossato fu quindi coperto e fino a un paio di decenni fa un selciato faceva bella mostra di sé, ombreggiato dalle folte chiome di grandi alberi. Da allora ha preso il suo posto un manto d’asfalto che in estate riceve ed emana calore, essendo nel frattempo scomparsa l’ombra e la sua origine. Questo luogo, un tempo incantato, l’ho fatto rivivere in una poesia, il cui titolo è molto evocativo: A Castel Tiziano. «Mi piacerebbe molto che tu la declamassi» disse Fausto. «Ti accontenterò molto volentieri, ma adesso vorrei farti ascoltare un’altra poesia i cui versi si snodano invece dalla periferia di Cicciano…

Il podista campano

Riaffiorato alla vista di un podista

l’agreste paesaggio d’un bambino

che l’avvolgea nel verde smeraldino

e la mulattiera divenia pista.

 

È un mese che la commozion m’assale

nell’osservar passando il corridore

che ‘n falcata decisa rend’onore

a un luogo non avvezzo a tanto male.

 

Un lampo quel ragazzo sulla strada

fa luce su quel derelitto canto,

e ‘l sembiante con rughe senza rabbia

 

fa riecheggiar fatica in quella gabbia

che impudica e cieca ruba ‘l vanto

d’un sogno di natura ancora brada.

Nel passaggio tra il terzo verso della prima terzina e il primo della seconda, notai che gli occhi di Fausto si erano imperlati di lacrime. Con un groppo alla gola, riuscii però ad arrivare all’ultima parola.

Riprendemmo il cammino, stando in silenzio, poi d’un tratto Fausto si fermò, mi porse il foglietto che aveva tenuto per tutto il tempo tra le mani e mi comunicò il recondito motivo della sua visita: «Antonio, ti devo lasciare. Prima degli esami di maturità, ho deciso di andare a stare un po’ dai nonni in Toscana, insieme con mio fratello Sergio, che ora mi attende a Napoli per partire. Ci tenevo però a vederti per ringraziarti ancora ma, soprattutto, per essere sicuro che questo foglietto rimanesse nelle tue mani. Contiene “ciò che ho visto e descritto”, è il mio messaggio da affidare alla corrente. Se, per qualsiasi motivo, non potessi più essere presente agli appuntamenti del giovedì in via Caracciolo, ti prego di divulgarlo come meglio credi.»

Rimasi un po’ interdetto, mi ero prefigurato tutta un’altra giornata ma il solo fatto che trasparisse da lui quella contagiosa serenità, mi rendeva felice.

Ripercorremmo quindi la strada a ritroso. Quando arrivammo alla stazione, il treno diretto a Napoli era in procinto di partire. Ci salutammo fugacemente e… un balzo e Fausto scomparve, ma non la sua curiosità costruttiva, che ho avuto l’onore di ricevere in dono.

I giorni a venire passarono in un battibaleno, in una sorta di sonno velato che durò fino al giovedì, quando quasi meccanicamente mi recai al solito posto. Quel pomeriggio mi svegliai di soprassalto, alla lettura del secondo messaggio.

Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata  (Messaggio in bottiglia 3^ puntata)
In breve, quando giunsi sul lungomare, gli amici erano già tutti presenti, tranne Fausto ovviamente. Ci salutammo con grande affetto ed io mi affrettai a traslare le sue scuse. Dopo brevi cenni sulle novità di Fausto ci appropinquammo alla scoperta dell’attesissimo secondo messaggio.

Come per la prima volta, chiesero a me di eseguirne la lettura ed io li accontentai, o meglio, avrei voluto soddisfarli ma lo scritto era in una lingua a me ignota. Mostrai il foglietto che prese a girare velocemente di mano in mano fino a quando non giunse nelle mani di Gloria, studentessa all’Orientale, la quale esclamò: «Questo è russo, se volete potrei chiedere al mio docente un aiuto nella traduzione».

La proposta di Gloria era più che corretta. Lei, nonostante avesse una certa dimestichezza con la lingua russa, non se la sentiva di rischiare di fare una traduzione al volo, tra l’altro senza l’ausilio di un dizionario.

Ma il gruppo non si lasciò convincere dalle argomentate motivazioni di Gloria. Era troppo ansioso e curioso di sapere il significato di quelle “lontane” parole e così, con il consueto garbo, si rivolse a Gloria:

«Hai ragione ma, per favore, traduci per noi, ora».

Gloria non si fece pregare oltremodo, e cominciò:

Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata. Non che non abbia occasioni di scrivere, sono infatti una giornalista, ma avvenimenti particolari mi stanno facendo temere per la mia vita”.

A questo punto Gloria s’interruppe, a causa di una parola che non conosceva, ma noi la esortammo ad andare avanti. Comprendevamo in pieno la difficoltà, e anche l’imbarazzo, di Gloria ma… lei proseguì:

Vi scrivo da una plaga lontana e dimenticata  (Messaggio in bottiglia 3^ puntata)
“Non dimenticatevi degli ultimi, appassionatevi alle loro vite, non spaventatevi se il loro aspetto non è gradevole, essi vivono nella più cruda miseria per colpa di pochi uomini che, a dispetto delle conquiste dei diritti umani, calpestano e schiacciano i deboli, proprio come hanno fatto i loro predecessori, intanto che organizzano feste mondane, scambiandosi inviti con uomini di altre nazioni, di eguale genia”.

In calce a questo breve ma intenso scritto, due iniziali: A. P.

Quelle iniziali, a differenza delle prime, non richiedevano grandi capacità investigative per risalire all’autore.

Carlo, Elisa e io deducemmo, quasi all’unisono, che a scrivere quel grido di dolore non poteva che essere stata Anna Politkovskaja.

Una tristezza frammista a rabbia si stampò sui nostri volti che divennero più eloquenti delle parole… coloro che ignoravano chi fosse quella impavida persona, la quale scriveva da una terra lontana e dimenticata, ne compresero all’istante la grandezza.

Ringraziammo infinitamente Gloria, ci salutammo velocemente e ci demmo appuntamento per il giovedì successivo.


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