Zara Phillips e High Kingdom, medaglia d’argento al Concorso Completo a squadre.
Non so perché ma in campo sportivo sono vittima di odi virulenti e passioni tanto forti da sfiorare l’adorazione, semplicemente così: a pelle.
Zara e Toytown (il suo cavallo ritirato dalle competizioni l’anno scorso) tedofori olimpici.
Detesto con tutto il cuore Federica Pellegrini con la sua insopportabile boria (poverina, avrebbe rifiutato di fare la portabandiera per non stancarsi troppo. Per fortuna che la Vezzali, di 14 anni più vecchia, è riuscita a sopravvivere al gravoso compito e anche a portare a casa una medaglia!) . Detesto Aldo Montano con il suo stupido taglio di capelli (no, non era una trovata spiritosa farsi scrivere God Save the Queen in testa con il rasoio elettrico!) e Balotelli con la sua ridicola cresta e le sue pietose intemperanze da divinità scesa in terra (io, per inciso, lo manderei a zappare per imparare un po’ di umiltà e di savoir vivre). E l’elenco sarebbe ancora lungo, anzi lunghissimo!
Naturalmente metto altrettanta passione nelle mie infatuazioni: sono pochi quelli che amo, ma li amo di cuore.
Zara Phillips è una di questi e la ADORO letteralmente.
La ritengo l’esatto contrario dei sopra citati vippetti nostrani: è bella, pulita, umile e coraggiosa.
Una che è arrivata a 31 anni alla sua prima Olimpiade (dopo alcuni brutti incidenti di gara e molta sfortuna) con l’impegno, la dedizione e il duro lavoro e che ha ricoperto il suo ruolo all’interno della squadra britannica in maniera esemplare, facendo onore ai suoi geni (un padre, il Capitano Mark Phillips, due volte medaglia olimpica).
Insomma una Sportiva vera.
Pubblico d’eccezione per Zara: la principessa Anna e il Principe Filippo.
N. B. Per amore di coerenza devo specificare che, pur adorando Zara, non amo affatto la disciplina del Concorso Completo e nello specifico la prova di cross country.
Non mi piace guardare una gara in cui i cavalli sono costretti a galoppare a rotta di collo per 5 km e rischiano ogni momento di impattare contro ostacoli fissi e ruzzolare con le loro fragili gambe all’aria; lo trovo uno spettacolo in un certo senso crudele.
E per questo motivo ho evitato accuratamente di guardare gare di cross dal lontano 1996 quando all’Olimpiade di Atlanta il povero Bermuda’s Gold (vedete, mi ricordo ancora il suo nome) si fratturò un anteriore ricevendosi malamente da un salto, con l’epilogo tragico che potete facilmente immaginare.
Da quel giorno (montavo a cavallo da un paio di mesi) per me cross country significa Disgrazia in Agguato.
Quest’anno però per vedere la mia Zara mi sono fatta coraggio e dopo 16 anni e 3 Olimpiadi, appurato che il percorso era stato definito da Laura Conz “horse friendly”, mi sono decisa a dare un’occhiata alla famigerata seconda prova del Concorso Completo.
Per fortuna non ci sono stati incidenti, ma la mia convinzione di fondo non cambia.