E’ con una non nascosta gioia e, perché no, emozione che inizio da oggi la mia collaborazione con Fascination Cinema su richiesta dell’amico Eugenio Ercolani. Alcuni tra di voi mi hanno probabilmente già letto sulle pagine di Nocturno e di Horror.it, molti altri invece no, sarà quindi un piacere farmi (ri)scoprire da tutti i lettori in una rubrica a cadenza, si spera, settimanale. Il titolo quasi “scoliano” di questo appuntamento è Brutti, sporchi e bastardi, una finestra sul cinema del passato e presente con un occhio ai titoli più rari e perduti. Si affronteranno tutti i generi, ma soprattutto l’action, favorendo le pellicole che posseggono la meravigliosa fanciullezza della serie B da cinema di seconda visione. Ecco immaginate quindi di avere in mano coca cola e pop-corn, di potere fumare quanto volete, di urlare, piangere o ridere senza che nessuno vi zittisca, un po’ come il Bob De Niro di Cape Fear. Qui tutto è permesso, l’unica imposizione è il film scelto che di volta in volta vi proporrò. Aspetto anche le vostre critiche, i vostri elogi, anche i vaffanculo se sinceri. Non mi asterrò dal rispondervi o di fare a botte con voi se necessario. Certo preferisco la birra e delle belle tette ad un cazzotto in faccia, ma in tempi di crisi ogni cosa è tutto oro colato, anche il disprezzo. Ma bando alle ciance e cominciamo.
Il primo titolo che affronteremo è Un killer di nome Shatter (1974) di Michael Carreras e, non accreditato, Monte Hellman. A produrre è l’inglese Hammer film, famosa in tutto il mondo per i suoi horror con Cristopher Lee e Peter Cushing, i vari Dracula il vampiro o La mummia, che però proprio ad inizio dei settanta cominciava a traballare nella disperata ricerca di una nuova identità. Sono quindi gli anni dei vampiri porconi, delle lesbiche succhiasangue, delle vergini per Satana, ma anche dell’inaspettato amore per le arti marziali. La pomposa austerità ed eleganza stilistica di un Terence Fisher aveva ceduto brutalmente il passo ai temi più exploitation: la Hammer a metà anni ’70 era un circo di idee, talvolta confusionario, ma deliziosamente geniale. Sono del 1974 questo Un killer chiamato Shatter e il più celebrato La leggenda dei 7 vampiri d’oro, coproduzioni con la cinese Shaw brothers di tanti celebri film di kung fu come La mano sinistra della violenza o I 13 figli del drago verde. La Hammer cercava in questa nuova collaborazione la linfa per reinventarsi e non morire, la Shaw un’occasione per imporsi maggiormente sul mercato occidentale: sulla carta l’idea era vincente, a conti fatti deluse pubblico e critica. In fondo però è un peccato perché sia Shatter che i 7 vampiri (co-diretto questo dal grande Chang Chen dei migliori kung fu movie anni ’70) avevano idee non indegne, certo il film d’azione o l’horror ibridato con le arti marziali risultava troppo acerbo, ma lo spettacolo popolare era ad alti livelli, miserabile e glorioso come un B-movie coi controcazzi dev’essere.
Un killer di nome Shatter è girato tra l’altro magnificamente: Michael Carreras, il papà della Hammer, era uno dei registi più interessanti sulla piazza, capace di girare horror derivativi come Il mistero della mummia, un sotto Terence Fisher per intenderci, con una tale vivacità nella messa in scena da renderlo superiore persino al prototipo. La lavorazione del film fu un’odissea piena di imprevisti a cominciare dalle riprese rimandate più volte per via della cattiva salute dell’attore protagonista, Stuart Whitman. In più il primo regista, Monte Hellman, un vero maestro nel girare film dalla grande spettacolarità e il piccolo budget, venne cacciato dalla produzione perché considerato non all’altezza e troppo lento nelle riprese. Ne esce fuori una pellicola diseguale che ha i momenti migliori nelle parti occidentali, più noir, e meno in quelle di botte e colpi alla Bruce Lee.
La storia, semplice semplice, è quella di un killer che, dopo un omicidio ai danni di un politico, si troverà ad essere braccato dai suoi stessi mandanti. Si respira aria da polar lugubre, un po’ alla Fernando Di Leo di La mala ordina, soprattutto quando il nostro Shatter si trova faccia a faccia con un potente politico e, dito puntato sul viso, gli ringhia “Paga quello che mi devi o ti scateno un massacro che neanche ti immagini”. L’internazionalità del prodotto viene garantita, oltre dalla manovalanza cinese a fare da sfondo, soprattutto da Stuart Whitman, ottimo attore (con The mark del 1961 rischiò di vincere persino un Oscar) ma dalla stella un po’ sbiadita in quegli anni. Oltretutto Whitman qui si limita a digrignare i denti e a recitare un po’ svogliatamente tanto da ricordare quei miti americani del passato che si lasciavano morire nei nostri polizieschi. Oltre a lui, fa una comparsa una star della Hammer, Peter Cushing, in un ruolo importante ma piccolissimo e anche lui in una performance abbastanza di maniera. A convincere di più invece il giovane Ti Lung che negli anni ’80 impareremo a conoscere grazie a capolavori come A better Tomorrow di John Woo e che allora era una stella del firmamento marziale grazie alle pellicole Shaw sullo spadaccino monco.
Come detto le scene di combattimento sono abbastanza gratuite e ripetitive, ma servono per dare quel tono di esotismo alla vicenda, quasi completamente girata ad Hong Kong. Shatter è un personaggio molto interessante: antieroe che non esita a far uccidere una coppietta in intimità (una meravigliosa scena di esecuzione col bazooka) pur di salvarsi la pelle, un vero bastardo impossibile da amare. Siamo in campo puramente pulp, quello che Tarantino glorificherà negli anni a venire, ma che qui ha già i suoi elementi da spettacolo popolare con intrighi assurdi, belle donne, violenza marcata e azione col piede sull’acceleratore. Se i personaggi sono abbozzati e urlati è particolare comunque come invece sottovoce viene fatto intendere il rapporto tra Ti Lung e la donna di Shatter (la bella Lily Li) con tanto di dita intrecciate nel momento della tragica dipartita di lei. Non c’è tempo comunque per i sentimentalismi in una pellicola come questa che fila liscia come l’olio senza annoiare per un’ora e mezza, quasi un miracolo per un film sicuramente studiato a tavolino per catturare il pubblico più ampio. Un Killer di nome Shatter uscì, all’epoca, in vhs per Italia con la Domovideo e non fu mai editato in nessun altro formato, un peccato per un film che segna l’inizio di questa nostra rubrica e che rappresenta perfettamente lo spirito dei film che recensiremo. Chi non ha le palle si astenga.Frase di lancio:
“Mr. Shatter non è invincibile, ma se non lo metti giù sarà lui a metterti in una scatola!”
Andrea Lanza
Trailer tedesco di Un killer di nome Shatter