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Riprendo qui sul blog un articolo scritto per micromega.net Il vento è cambiato, ormai tutti se ne sono accorti. Ma il vento non cambia all'improvviso, magari non si vede, non si percepisce, ma c'è sempre un lontano battito d'ali che mette in moto l'aria fino a scatenare una bufera magari dall'altro capo del mondo. Se il vento della politica è tornato a scuotere i cittadini che sembravano ormai rassegnati, allora vuol dire che questi anni di apparente riflusso nel privato sono stati in realtà anni di semina a cui hanno notevolmente contribuito anche quei movimenti, che potremmo definire di ‘emancipazione individuale’, che hanno spesso sofferto anche di feroci critiche da sinistra.
Prendiamo ad esempio il downshifting si tratta di un movimento che si potrebbe riassumere nello slogan "Riprendiamoci le nostre vite". Vite schiacciate dal lavoro, fagocitate dal traffico metropolitano, annullate dalla frenesia di una vita in cui il bene più prezioso, il tempo, manca sempre. Manca per se stessi, e manca anche per gli altri. Simone Perotti – una sorta di «guru» del downshifting in Italia - ha fatto il manager in importanti aziende per 19 anni, guadagnava bene, era il classico uomo in carriera. Poi un giorno, sul grande raccordo anulare di Roma, imbottigliato nel solito traffico, si è guardato da fuori e si è detto ‘adesso basta’ (che è poi diventato il titolo di un libro, edito da chiarelettere, seguito da un secondo volume, Avanti tutta!, appena uscito per lo stesso editore che fa il punto dell’esperienza a qualche anno di distanza). Molti di noi lo pensano ogni giorno, molti lo dicono e se lo ripromettono. Pochi, pochissimi lo fanno. Perotti l’ha fatto, e ha scritto due libri per dimostrare che non solo non è impossibile, ma che lasciarsi alle spalle lavoro e carriera, traffico e capi, cartellini da timbrare e riunioni senza fine è impresa alla portata di moltissimi di noi. Basta volerlo (seriamente). Certo, nell’approccio di Perotti non mancano dei limiti, uno su tutti il rischio di una sorta di ‘superomismo’: la ‘ricetta’ dell’emancipazione individuale da lui proposta comporta infatti scelte di vita radicali alla portata solo di uomini (e donne) coraggiosi, intraprendenti, creativi. I pavidi, gli indolenti, i banali si arrangino. Il downshifting – letteralmente scalare marcia, ossia rallentare, darsi tempo – fa parte di una galassia di movimenti, tendenze, stili di vita che si sono molto diffusi negli ultimi due decenni – consumo critico, la «moda» del biologico, gruppi di acquisto... – che l’ortodossia dell'impegno politico tradizionale ha spesso etichettato, quando va bene, come movimenti di anime belle che pensano solo al proprio orticello e perdono di vista l'interesse generale e che, soprattutto, si concentrano sulla sovrastruttura (stili di vita, modelli di consumo) invece di puntare l’attenzione sui vecchi e cari modi di produzione. E allora l'accusa di ritirarsi nel privato e addirittura di 'intelligenza col nemico', che non vorrebbe altro che individui atomisticamente interessati solo a se stessi: questi movimenti non metterebbero in discussione il sistema, la struttura, andando in cerca semplicemente di una salvezza individuale. Una lettura riduttiva che non tiene conto di un aspetto cruciale: l'ultima fase della società capitalistica – quella anticipata da Simmel e Weber e studiata da Bauman e Touraine – ha prodotto una tale mutazione antropologica dell'individuo, una tale desertificazione delle sue capacità di immaginare il futuro e il cambiamento, che probabilmente una fase di emancipazione individule, in cui gli individui si riapproprino del proprio tempo, e dunque di se stessi, era (ed è ancora) necessaria e propedeutica alla messa in campo di un progetto collettivo. Le esperienze di emancipazione individuale, dunque, lungi dall'essere un ripiegamento egoistico nel proprio orticello, sono la necessaria terapia riabilitativa per la formazione di un individuo di nuovo capace di sognare un futuro di emancipazione collettiva. In tempi di modernità liquida, in cui le relazioni sociali sono fluide e l'identità dell'individuo messa a durissima prova dalla frammentarietà delle nostre vite, è fondamentale rimettere insieme i cocci dell'individuo prima di poter di nuovo impegnarsi collettivamente. Le grandi lotte collettive erano possibili in tempi 'solidi', in cui l'identità individuale non era messa in discussione e in cui, quindi, a partire da una precisa coscienza di sé (costruita eventualmente anche in opposizione ai modelli sociali di riferimento), era possibile condividere anche una coscienza di classe o di gruppo. L'individuo, nella sua integrità e autonomia, è l'apriori di qualunque azione collettiva e lavorare per ritrovare se stessi, lungi dall'essere il contrario dell'impegno politico, ne è la condizione di possibilità. Quale politica è possibile, infatti, in un mondo di 'consumatori', di 'clienti'? C’è dunque una carenza di analisi in chi le considera semplicemente delle scelte per mettere a posto la propria coscienza (per quanto anche avere una coscienza a posto di questi tempi sia già molto). Sono scelte che servono a rimettere insieme i cocci di un'esistenza a brandelli, di una personalità informe, di un individuo che non sa più chi è. Le grandi utopie collettive erano possibili perché gli individui si riconoscevano nei gruppi sociali di riferimento. All’interno della «classe» o del gruppo sociale (gli studenti, le donne), l'individuo era integro e poteva dunque proiettare se stesso in un progetto di emancipazione collettiva. Oggi l'identità individuale è messa duramente alla prova e, senza una definita consapevolezza di sè, è impossibile proiettersi in un progetto comune: comune a chi? Chi sono i miei 'compagni'? Se la categoria sociologica fondamentale del nostro tempo non è più il ‘lavoro’ ma il "consumo", è dalla messa in discussione di esso che bisognava ripartire: il rifiuto della logica lavoro-guadagno-consumo è alla base di tutti questi movimenti spesso spontanei, non particolarmente organizzati, che trovano nella rete, per un verso, uno strumento per concretizzarsi (per esempio per la gestione dei gruppi d’acquisto) e, per l’altro, un luogo di confronto, in cui si scopre di non essere da soli. Il «ripiegamento nel privato» produce inaspettatamente una nuova coscienza collettiva: le vie per l'emancipazione individuale incrociano continuamente l'altro e, riappropriandosi del proprio tempo, l'individuo scopre di avere tempo per sé ma anche per gli altri. Non è un caso che il risveglio civile e democratico a cui assistiamo negli ultimi tempi ha molto a che fare con quei «beni comuni» - l’acqua, la gestione del territorio, l’ambiente – che sono centrali nella definizione della qualità della vita di ciascuno di noi.
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