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"La casa in collina" di C. Pavese

Creato il 03 dicembre 2011 da Bens
Questa è la storia di una scelta. Di una scelta che ho toppato tanti anni fa, di una scelta che un'insegnante di italiano, un po' traccagnotta e dall'altisonante cognome austriaco, fece al mio posto, negandomi Pavese per quasi nove anni.
Ero una tredicenne timida, da sempre ossessionata dalla Seconda Guerra Mondiale, cresciuta a pane e storie clandestine di bombardamenti e marce, che io rivedevo lucide e vive per quelle strade di campagna dove anni dopo avrei imparato a portare la macchina. I racconti del nonno fascista che disertò, tornando a casa in bicicletta dal Nord, le favole sul bisnonno socialista nato il mio stesso giorno, ma un secolo prima.
Storie sempre uguali, con le stesse facce e gli stessi nomi, di ebrei nascosti e giovani tedeschi impauriti, salvati dalla pubblica lapidazione. Fischiettavo Bella ciao con l'ingenua ignoranza di una bambina che riporta familiari melodie. Quindi, arrivata la scuola, arrivate le lezioni di storia e le prime nozioni di neorealismo, mi risultava difficile fingere che tutto fosse l'ennessimo e noioso capitolo di un testo scolastico, l'ennesima e straziante lezione prima del sabato pomeriggio.
Non riuscivo a rimanere seduta al banco, il giorno in cui la professoressa di italiano, prima delle vacanze natalizie, ci consegnò dei romanzi presi dalla biblioteca. Lasciò scivolare dalle mani La casa in collina sul mio quaderno scarabocchiato, ma non ebbi nemmeno il tempo di toccarlo che tornò indietro, se lo riprese, porgendomi Il giardino dei Finzi-Contini. Quando si ha fame una cosa vale l'altra, e Bassani mi andava benissimo. Quindi lessi Bassani. E poi Cassola. E poi Carlo Levi. Pavese ha aspettato nove anni. Io ho aspettato nove anni per riprendermi quello che un'insegnante mi tolse, senza sapere che mi spettava di diritto. Se avessi letto questo libro prima, Pavese lo avrei già letto tutto. Sarei stata un'adolescente meno scontata, dalle idee meno piatte, dai toni meno denigratori nei confronti di un passato che avrei potuto capire meglio. Sostituendo Pavese con Bassani, quell'insegnate mi ha condannata ad anni di conformismo sinistroide. Se solo lo avessi letto prima. Se solo non avesse cambiato idea.
La casa in collina mi ha stregato, mi ha rubato il cuore. Nella semplicità dei pensieri, nel non essere ritenuto il "conclamato capolavoro", nella rassegnazione di Corrado, che è quella di Cesare, che oggi è un po' anche la mia. La rassegnazione che stabilisce la fallacità del sottile confine tra giusto e sbagliato, vita e morte.
Forse quella professoressa fu profetica. Forse non l'avrei capito Pavese e non l'avrei più letto e sarei stata comunque una adolescente scontata.
Non lo so, ma so per certo che Pavese oggi, per me, è la prova che essere consapevoli ed onesti profuma di libertà oltre ogni ideologia mascherata da giustizia.
"Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto, il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue, bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha perso".
Cesare Pavese, La casa in collina

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