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Non accontentiamoci del prossimo metro di asfalto

Creato il 18 ottobre 2011 da Ilpescatorediperle

"A testa bassa contro la pioggia, la strada lucida, la visione è limitata ai pochi che ti stanno accanto. [...] Il cervello in realtà è partito. Rimane una forma animalesca, automatica, di procedere, senza altra preoccupazione che il prossimo metro di asfalto."Leggendo dei fatti di Roma mi sono venute in mente queste parole. Raccontano di un'altra manifestazione nella capitale, in un periodo molto diverso dal nostro. Sono di Lucia Annunziata, tratte dal suo libro sul '77. Queste frasi non descrivono un atto di violenza, ma vengono dal cuore del corteo, sicuramente da un suo membro appassionato ma sostanzialmente non violento.

Allora, qual è il legame? Io penso stia nell'atto di sospensione, favorito dall'immersione nella folla, nell'atto di sospensione del pensiero che fa corpo e diventa marcia, e diventa, per qualcuno, assalto. C'è qualcosa che non torna in alcune grandi manifestazioni politiche in Italia, qualcosa che non sono in grado di spiegarmi, e che è la violenza. Sabato mi trovavo ad Amsterdam, e sono passato dal luogo in cui si svolgeva la manifestazione olandese (accanto alla Borsa). Non credo ci siano stati atti vandalici o aggressivi. Penso che la manifestazione di Roma, deprivata della sua coda violenta, sia stata molto simile, ne sono sicuro.

Come tutti mi chiedo anch'io perché quelle scene le abbiamo viste soltanto in Italia. L'unica cosa che mi viene da suggerire è che la violenza non è solo un insieme di atti ma una storia, un racconto. E come tale, essa è, nonostante la sua apparente caoticità, strutturata, quantomeno perché dà luogo ad un'iconografia, che invita alla ripetizione. Guardiamo ancora una volta le fotografie dei danni: esse rinviano ad un monotono, ossessivo percorso sgranato attraverso le solite tappe, ogni volta uguali (noiosamente uguali) a se stesse: gli incendi, le auto danneggiate, le scritte sui muri, i bancomat fuori uso, le vetrine sfasciate. Esse testimoniano di un eroismo vile, un eroismo senza scopo, per qualcuno un'iniziazione, che passa attraverso delle "prove", delle "fatiche" da superare - senza che ciò abbia un fine diverso dalla loro consumazione. Che tutto questo venga descritto come atto di resistenza o di militanza è ridicolo più che tragico, ma questo è il nobile lessico infangato per descrivere questi avvenimenti.

A volte, le parole che utilizziamo per descrivere questi atti rimbalzano su di essi e donano loro una credibilità che di per se stessi non anno.A volte, si ha l'impressione (fatta salva la responsabilità individuale, che è l'unica veramente rilevante) che sia proprio il vocabolario mediatico che dà nome alle cose a fornire la carica perché esse si verifichino.Magari la parola "indignati", che è stata affibbiata al movimento a partire dal libercolo, a mio modo di vedere un po' ingenuo, di Stéphane Hessel, ha costituito per un piccolo gruppo una sorta di lasciapassare. Se siamo indignati, se siamo riconosciuti pubblicamente come tali, dobbiamo obbedire a tutte le conseguenze che questo nome ci assegna. Può darsi.La verità è che questa violenza fine a se stessa ha qualche cosa di depressivo. Eccitandole, depotenzia allo stesso tempo le nostre forze, le condanna ad una mancanza di fruttosità, condanna questo decadimento dell'azione politica a non avere effetti diversi dalla (auto)distruzione.E' per questo che l'unica risposta possibile deve venire dal movimento stesso, che di per sé può essere a volte confuso, ma che di certo non ha nulla di depressivo. Gente di prim'ordine, a cominciare da Giuseppe Civati, contribuisce ad animarlo o quantomeno instaura con esso un rapporto positivo.

Ma, e questo è fondamentale, se il movimento, con molte buone ragioni, chiede il cambiamento, deve essere consapevole del fatto che questo non può che riportare la palla alla politica, ovvero, questo è il punto, alla mediazione. Non nel senso deteriore del compromesso sterile, ma in quello in cui le istanze di tutti e di ciascuno (è questo che voglio ancora sperare), possono incontrarsi in un dibattito anche serrato, ma animato dal discorso, dalla parola, e che dunque, lungi dall'attentare all'esistenza di uno spazio comune, lo istituisce.Sarebbe pericoloso pensare di sostituirsi a questo lavoro di messa in atto o di entrare senza mediazioni, gamba tesa, nei luoghi della democrazia.Forse tradurre il cambiamento in un processo costituzionale (in leggi, provvedimenti), è poco affascinante e scarsamente seducente rispetto ad un corteo. Ma è l'unica speranza che abbiamo che esso avvenga davvero.

Non accontentiamoci del prossimo metro di asfalto

da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com


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