La lunga attesa è finita: domani si vota per le primarie del centrosinistra. Non che sia un evento particolarmente emozionante, intendiamoci. Un certo agitamento nello stagno italiano, un oscuro gracidare. I candidati, come tutti sanno, sono tre. Anzi, no, sarebbero cinque, ma Puppato e Tabacci al massimo possono meritarsi la menzione. Lei sembra il participio passato di qualcosa, lui una cartolina spiegazzata di Piazza del Gesù che qualcuno si è dimenticato di spedire prima di ripartire da Roma e si è riportato a casa, vicino Mantova, due fiumi, il Mantegna, Roberto Boninsegna. Niente di cui l’omino si possa dire particolarmente degno. La giostra è a tre. C’è l’apparatcik Bersani che sai già che vincerà. Per lui parlano le lenzuolate, i perbacco, le scie Peppone-style più che le maniche tirate su e una certa bonomia da festa de l’Unità che non deve ingannare, perché nasconde uno sguardo miope e rivolto all’indietro, un’impossibilità di occuparsi di come va il mondo fuori da quella sala riunioni dove si smonta e si rimonta quello che poi si dice di rimettere a una discussione democratica. Poi c’è Vendola, con gli anelli e il capello argentato e il linguaggio che vira dall’arzigogolo e si sposta su un registro più sanguigno, adatto alla pugna. E’ lui che dice le cose di sinistra ed è lui che voterei, se andassi, perché sa scuotere la gente dal torpore coccodrillesco che la imprigiona da decenni. Ma se vincesse, ve l’immaginate? Il terzo è il nuovo, dice lui. Matteo Renzi. Avete presente il commerciale dell’azienda che vi fornisce i prodotti e sciorina parti di testo prememorizzate, tipo le audioguide che vi rifilano quando siete in visita da qualche parte e il sole che picchia vi impedisce di rifiutarne il dono da parte della procace ostessa dell’ufficio turistico che sorridendo vi chiede uerareyoufrom? Renzi è così, schiacci un tasto e canta sur le Pont d’Avignon. La sa a memoria, con tanto di dizione corretta stile cinque cimici cilene. Analcolico squadernatore di tabelline, conoscitore dei minimi particolari della città che amministra. Non ci sarebbe niente di male, a parte le cravatte viola, ma un commerciale è pur sempre un piazzista, e il margherito rottamatore è l’entità che meglio conosce (e canta) i mantra soffusi che in sottofondo stordivano le massaie della penisola nei lunghi anni dell’avvicinamento al potere del conducator di Arcore. Una sfida che corre sul filo della ragnatela, tra un cinguettio e l’altro, con gente che si rincorre su palcoscenici virtuali per rappresentarsi in atteggiamenti e pose che niente hanno a che fare (o molto) col ruolo politico che si candidano a recitare. Inutile unirsi al coro delle contumelie, rendendo omaggio al conformismo rancido dell’antipolitica. C’è bisogno d’aria, di sole, di cose di sostanza: una gita al mare, una passeggiata, un tortello al ragù. Tirerò per aria la moneta da due euro risparmiata: testa Maremma, croce Versilia. Al voto andrò quando servirà davvero.
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