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Profughi, non solo immigrati. Al di là dei proclami

Creato il 15 ottobre 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

Oltre 400 persone hanno perso la vita al largo di Lampedusa, dall’inizio di Ottobre. L’emergenza ha catturato la nostra attenzione, dibattito politico, tg, radio, giornali; ma i barconi carichi di profughi non hanno iniziato a solcare il Mediterraneo 15 giorni fa, e l’immigrazione non è argomento nuovo.

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La cruda e semplice verità è che abbiamo fatto finta di non conoscere ciò che accadeva, ed ora, “Mare Nostrum”, fregate, droni e pattugliatori, perché, in fondo, sono solo 20 anni che governiamo l’immigrazione come fosse un’emergenza, e non un dato strutturale.

Ora, qui su FailCaffè, l’importanza dei flussi migratori non l’abbiamo mai sottovalutata, anzi, è stata individuata come una delle sfide degli anni a venire. Anche il papa, ad essere onesti, un paio di mesi fa ha ritenuto opportuno che il primo viaggio del suo pontificato fosse proprio sull’isola siciliana.

Nel mare dell’indignazione collettiva per la tragedia, tra anime belle che propongono l’abolizione della Bossi-Fini (bene, bravi, bis), come se ci fosse un’equazione tra abolizione della legge e scomparsa del fenomeno, come se spiegare con che diversa regolamentazione dovrebbe essere sostituita fosse un surplus non gradito, due articoli colpiscono per il loro andare decisamente controcorrente: il primo, di Camillo Langone, e il secondo, sempre sul Foglio, di Giuliano Ferrara.

Per quanto concerne il pezzo di Langone, eccezion fatta per il passaggio in cui si censura un odioso utilizzo del termine “migranti”, evocativo di fascino e poesie (e nei barconi non c’è traccia ne dell’uno, ne dell’altra), un giudizio in quattro parole potrebbe essere il seguente: fa venire il voltastomaco. Fa venire il voltastomaco perché riduce l’immigrazione al “vengono in Italia perché, al semaforo, qualcuno gli da le monetine”, quasi non stesse parlando di persone, che fuggono da guerra e fame, e non perché si aspettino l’Eldorado, ma per un pezzo di pane.

L’editoriale di Ferrara ha una levatura di tutt’altro livello, il ragionamento è sagace, persuasivo, l’utilizzo della lingua è magistrale, ma c’è un però, un interrogativo: si può davvero ricondurre un fenomeno complesso all’alternativa manichea frontiere aperte/frontiere chiuse?

Forse dovremmo tutti fare un passo indietro; prendere una boccata di ossigeno, liberarci dal sensazionalismo del momento (anche perché il momento dura da venti anni), e guardare al fenomeno nel suo complesso.I barconi sono pieni di profughi (coloro che scappano da guerre, o che, comunque, all’eventuale rientro in patria, rischierebbero di essere sottoposti a pena di morte, torture, o altro trattamento inumano), e non da persone in cerca di lavoro; è da esseri umani respingerli, e rimpatriarli? Credo di no, e credo che, prima di analizzare il problema immigrazione, occorra sgomberare il campo da quest’equivoco.

Dopo, si può parlare con contezza del fenomeno. L’arrivo di persone in età lavorativa è una necessità dell’Italia: a pagina 16 di questo studio dell’Università di Modena e Reggio Emilia c’è una tabella che suddivide la popolazione per fasce d’età, e raffronta il 2010, al 2050. Ebbene, siamo un Paese che invecchia, in fretta. In breve tempo, non avremo più un welfare state a proteggerci, e non per una rediviva e italiana Margaret Thatcher, ma, più semplicemente, perché non avremo una popolazione lavorativa abbastanza numerosa per finanziarlo.

A questo punto, e partendo da queste premesse, si deve passare ad una regolamentazione organica, di segno diverso da quella (legge Martelli, Turco-Napolitano, Bossi-Fini) che si limitava a gestire il processo di entrata sul territorio nazionale dei lavoratori stranieri: nel 2004 (Colombo-Sciortino, L’immigrazione in Italia, non ho trovato dati più recenti) il 92% delle risorse per l’inserimento degli stranieri è stato destinato al contrasto dell’immigrazione irregolare, il restante 8% all’integrazione. Forse, una rimodulazione della spesa, sarebbe necessaria; ma, prima ancora di ragionare in termini economici, forse occorre riconoscere qualche straccio di diritto a chi vive, lavora, ha famiglia e paga le tasse in Italia: il diritto di elettorato, attivo, e, soprattutto passivo; non accompagnato, però, da una retorica buonista e assolutoria: quando è merda, è merda, cantava Gaber.

Una volta fatto ciò (e solo una volta fatto ciò), saremmo legittimati a chiedere aiuto e soldi a mamma Europa, e ricordando sempre che Francia, Germania e Regno Unito accolgono molti più stranieri (rifugiati e immigrati) di noi.


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