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"Taccuino siriano" di J. Littell

Creato il 06 giugno 2012 da Bens
Ho letto Taccuino siriano non perché io abbia particolarmente a cuore la Siria (non sono un essere spregevole, ma perché la Siria sì, e il resto del mondo, dove si combattono guerre altrettanto giuste ed intestine, no?) ma piuttosto l'ho fatto spinta dalla scia cavalcante dei relativismi in cui ne Le Benevole Littell mi aveva trascinata.
"Esce un nuovo libro di Littell", ecco cosa ho pensato, la Siria era un corollario, una giustificazione per parlare d'altro. E quindi ho iniziato a scorrere le pagine, ad ingozzarmi di ingiustizie, di cecchini subdoli, di segregazioni e di morti. Ho pensato a quanto fossi stata stupida e superficiale a lasciarmi scivolare addosso i titoli dei giornali in cui si denunciavano le atrocità, titoli che contavano decine di morti che mi facevano più o meno lo stesso effetto dei bollettini di guerra afghani, in cui ogni giorno un'autobomba esplode spezzando esistenze non certo meno meritevoli della mia. Quando tutto ciò diventa etichettabile come "normale" o liquidato con un incosciente "ma che t'aspettavi?", quando ad una studentessa di Scienze Politiche di appena ventidue anni non fa nessun effetto, comincia tutto a traballare. Traballa l'indignazione contro la mafia, contro l'arroganza, traballa addirittura l'indignazione contro una macchina parcheggiata lì dove un disabile non può scendere da un marciapiede. E più leggevo più mi arrabbiavo, con me stessa, sì, ma anche con Littell, perché ne Le Benevole il mio menfreghismo borghese aveva trovato un appiglio. Il male è brutto, ma non è assoluto, il disumano non esiste, esistono piuttosto imperativi morali, opinabili, ma riflettiamo su quanto siano, in fondo, universali. Quindi mi sono detta che tutto quello che Littell aveva scritto (un romanzo sanguigno e feroce, ma pur sempre un'opera di fantasia e non generalizzabile) veniva sonoramente smentito dall'orrore della realtà. Littell aveva torto, io avevo torto.
Ma poi mi sono chiesta: "Dove diavolo sono le donne qui? Questi uomini così attaccati alla loro libertà e ai loro diritti, dove le hanno spedite le donne?". A cucinare kebab. Le hanno segregate nelle loro stanze a piangere i propri figli, avvolte in veli neri che sono la base e il fondamento di ogni discriminazione. Quindi ho ripensato a Littell. E ho pensato che non avesse affatto torto, che la libertà è bella, ma è umana, quindi imperfetta e se la si ottiene a discapito di altri può avere anche un sapore orgasmico. Non sono una pacifista, sono piuttosto una giustizialista e credo che Assad meriti il peggio, credo che il tirannicidio e la rivoluzione abbiano ancora un sapore di ancestrale ribellione, con tutte le loro derive, ma infine credo anche che per queste donne siriane, così silenziose e discrete, alla fine dei conti, non cambi poi molto.

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