Memore della fondamentale lezione crociana, non sono mai stata una che cerca a tutti i costi di decifrare il sottotesto ideologico di un’opera d’arte.
Eppure la visione, l’altra sera in tv, del celebrato Un amore all’improvviso (di Robert Schwentke, Usa 2009, con Eric Bana), dal celebratissimo romanzo best-seller La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo (di Audrey Niffenegger, Mondadori 2003) mi ha lasciata con un mix di commozione e irritazione.
Commozione perché il prodotto hollywoodiano sa fare il suo mestiere, di spremerci il maggior numero possibile di lacrimucce – e suppongo che le stesse considerazioni mi ritroverò a farle quando, tra qualche settimana, andrò a vedere al cinema Un giorno, dall’omonimo romanzo di Nicholls, che avevo già criticato su Anobii.
E sottolineo che di colpe non ne posso imputare ai due protagonisti, belli e intensi, la canadese Rachel McAdams e l’australiano Eric Bana. Semmai allo sceneggiatore (lo stesso di Ghost, guarda caso) e al regista.
Irritazione, e molta, perché pur non avendo letto La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, ne conoscevo la trama, e la visione di ieri sera ha confermato la mia intuizione iniziale: che questa storia sia un concentrato del più vieto maschilismo, ben mascherato per adattarsi ai nostri grigi tempi neoconservatori in cui le donne si sottomettono di loro spontanea volontà invece che per costrizione esterna.
E ho come la vaga, fumosa impressione che le mie idee si ricolleghino al saggio Ave Mary. E la chiesa inventò la donna (di Michela Murgia, Einaudi Stile Libero Big 2011) appena recensito su Carmillaonline.
Proprio come in Un giorno, anche La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo ci propina un falso “unhappy end”, che in realtà è happy perché, si sa, Il Vero Amore Non Muore Mai.
I produttori modificano inoltre l’intreccio in un punto estremamente drammatico: se nel libro al povero Henry venivano amputati entrambi i piedi, qui si ha una ferita a una sola estremità, che pregiudica le sue possibilità di salvezza ma fa meno impressione allo spettatore. Ma è un peccatuccio da matita blu.
Il vero crimine di storie come queste, spesso scritte da donne, è la pericolosa ideologia che compare in trasparenza, e che fa sempre venir fuori la bestiaccia selvatica iperfemminista annidata dentro di me.
Che cosa accade, in soldoni, in Un amore all’improvviso?
C’è un uomo che, non per sua volontà, ogni tanto viaggia nel tempo, tornando indietro o avanzando nel futuro; non può decidere quando e per quale epoca partire, non sa mai quanto starà via, non può cambiare il corso degli eventi (esempio, la morte della madre in un incidente stradale), ma chissà perché nel corso dei suoi viaggi incontra sempre i suoi familiari.
Ciò gli consente di avvicinarsi, sin da bambina, alla futura moglie Claire, di fare amicizia con lei (lui quarantenne) e di farle gradualmente sapere che un giorno si incontreranno all’età giusta e si sposeranno. Naturalmente Claire, oltre a essere molto bella, fin da piccola è anche molto intelligente e comprensiva, per cui gli vuol bene, accetta il suo destino e, diventata adulta, si innamora.
Si fidanzano, si sposano, hanno una figlia, Alba (che erediterà dal padre il dono di viaggiare nel tempo ma riuscirà – cantando – a decidere lei quando partire o meno) e, dopo il quinto compleanno della bimba, Henry muore per ragioni legate alle gravi ferite cui accennavo prima.
Noterete un particolare: se Henry non avesse il fastidioso vizio di sparire ogni tanto e stare via senza avvisare (una volta Claire passa tutte le feste natalizie da sola, e glielo rimprovera aspramente), la coppia Claire-Henry sarebbe felicissima e, in pratica, non ci sarebbe storia.
Si tratta infatti di due persone belle, intelligenti, sensibili, colte – lui bibliotecario, lei pittrice - e innamorate l’una dell’altra; addirittura anche benestanti, sia perché lei è ricca di famiglia, sia perché lui per farle un regalo le fa vincere qualche miliardo alla lotteria (venendo da un viaggio nel futuro, sa quali numeri usciranno).
Il loro unico, e insolubile, problema è che Henry ogni tanto è costretto ad assentarsi e la fa soffrire. Però soffre anche lui: non sia mai detto che lo spettatore pensi che lui si diverte a fare il Marlboro Man all’avventura! Che vada con altre donne! Che esplori altre epoche, altri continenti, che partecipi alla Storia con la s maiuscola!
No: Henry viaggia involontariamente, è la tesi del film, e per cause inspiegabili. Anzi, non si sa bene cosa ci stia a fare il personaggio del neurologo, visto che lo sottopone ad esami e ha visto con i suoi occhi come il poveretto ogni tanto si smaterializzi lasciando solo un mucchietto di vestiti flosci per terra, ma il suo ruolo nella vicenda è assolutamente zero.
E come mai viaggia nel tempo? La scrittrice, e gli sceneggiatori, se la cavano incolpando un difetto genetico non meglio specificato, e tanti saluti. Dal che si capisce che i risvolti fantascientifici erano tanto lontani dalle loro intenzioni, quanto quelli horror-gotici dai romanzi di Stephenie Meyer: siamo davanti a storie harmony, e basta. Secondo la ben nota tesi descritta da Rougemont, per fare una grande storia d’amore ci vuole un grande ostacolo, e quindi là avevamo il vampirismo involontario di lui, qui il di lui altrettanto involontario viaggiare nel tempo.
Aggiungiamo che il titolo italiano è assurdo (meno improvviso di questo amore se ne sono visti pochi!), che molti salti dell’intreccio appaiono illogici dal punto di vista spazio-temporale e che la stessa storia d’amore è molto stereotipata (ma su questo punto ritorno dopo).
Già, la logica: peccato che, se partiamo dalle premesse viste poco fa (questo è semplicemente un romance, cioè una storia d’amore al 99% con l’1% di paranormale come guarnizione), dobbiamo poi trarne le debite conseguenze.
Cioè che questa è la storia di una coppia in cui la Donna sta ferma immobile ad aspettare, mentre l’Uomo girovaga senza fine.
Vi ricorda qualcosa? Sì, certamente: l’Odissea. Che infatti già Dante vede come archetipo dell’inesausta sete di conoscenza e di ignoto dell’umanità.
Ma il nostro Henry, come si è visto, non fa il turista dell’aldilà, non tradisce la moglie, non si porta la macchina fotografica e non scopre nuove terre incognite.
È infelice, lui, poverino.
È un commesso viaggiatore del tempo: una forza superiore lo costringe ad allontanarsi dalla famiglia, mentre lui preferirebbe la routine casa-metro-ufficio-casa-tv. Persino i protagonisti di Ritorno al futuro 1, 2 e 3 si divertivano più di lui.
È giustificato, insomma; giustificatissimo.
Che la moglie soffra per tutta la vita a causa sua, non è colpa di lui. Del resto la tapina lo ama assaissimo, per cui di lasciarlo perdere non se ne parla nemmeno.
Noi comuni Penelopi della mutua, che non abbiamo mai viaggiato nel tempo ma in compenso abbiamo sentito tante storie con protagonisti soggetti sia maschili che femminili, curiosamente non possiamo fare a meno di notare che di maschi propensi – poverini! - ad allontanarsi, loro malgrado, di continuo, è pieno il mondo:
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Scendo un attimo a prendere le sigarette.
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Sì, ti ho lasciata, ma non volevo.
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È che mi hanno richiamato in guerra.
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Sì che sono venuto al nostro appuntamento, come hai fatto a non vedermi?!?
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Mi è morto il gatto.
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Sì, ieri ti amavo, ma quando mi sono svegliato stamattina ho capito che ti detesto.
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La verità è che sono troppo bastardo per te.
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Con mia moglie non lo facciamo da sei anni: dev’essere stato lo Spirito Santo.
- Sì, ti ho lasciata sei anni fa, ma adesso sono tornato, non capisco perché fai tanto la smorfiosa!
E meno male che non sono l’unica ad averlo pensato: giustamente notava il recensore di http://filmup.leonardo.it/thetimetravelerswife.htm che di uomini che spariscono e riappaiono è pieno il mondo e lo fanno senza alcuna anomalia genetica, e anche di donne con la sindrome di Penelope sempre pronte ad aspettare il loro ritorno