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Dead dog walking on the road

Da Paride

Era uno sporco ed umido lunedì, giorno timido del Maggio che presto si sarebbe piegato all’impavido Giugno lasciando al suo vento iniziale più forti istinti a domandar del corpo l’azione. Un mattino sudaticcio, un pavimento appiccicoso, delle persiane rotte tirate su da un sole lungi dall’esplodere. Il giorno inizia così, cammina col tazzone di caffè ancor caldo riempiendo il soggiorno della sua magra figura coperta solo da degli orribili mutandoni bianchi, la radio è  accesa, annuncia il buon giorno, passa della musica blues.  Ha ancora gli occhi chiusi, poggia la mano a reggergli il mento, sono le otto ed i suoi gomiti puntano al tavolo. Non è  affatto sveglio, ma non ci vorrà molto, accadrà presto, solo ora, dategli il tempo di rifletterci su, cercate di capirlo, da tempo la sua vita a preso questa piega, va’ avanti da un po’  e non è un disturbo, né qualcosa che si cura, non serve medico, solo un motivo, ed egli tarda a trovarne uno, ho forse parlato di donne!? Ecco appunto!
In questa casa c’è solo un tipo in mutande or chino a lavar i denti, e una radio che continua a ronzare blues, e se provassimo ad addentrarci in quel bilocale, noteremmo che è completamente sprovvisto di qualunque strumento utile alla conclusione d’un rapporto, né atmosfera, né ordine, insomma, completamente inadatto ed impreparato. Non che lui ci pensi, ed è infatti questo il punto, visto che qualunque cosa gli stia passando per la mente è modo comune accomodarla all’uscita così, senza un vero è proprio scacciare, solo un leggero accompagnamento, fin quando quel pensiero non c’è più. Certo non roba da lui, così onesto con sé stesso, così razionale, così mansueto, non si può dir che sapesse sempre come comportarsi, certo ad egli era molto chiaro il come non volesse comportarsi, e questo bastava. Andava avanti così, senza tirar giù a picco nessuno, con se, in quel abisso che non aveva ancor saputo riempire, e forse mai avrebbe trovato modo, lui e il suo caos, un rapporto di per sé faticoso, difficile sarebbe stato includere un terzo elemento senza rischiar di saltar tutti all’aria, e poi, in fondo, non aveva mai funzionato. Eccolo, a sciacquarsi la bocca col bicarbonato, roinfrescato avanza verso il balcone attraversando la camera, le tende son ferme, le tende sfibrate dal caldo sembran secche, a piedi scalzi guarda fuori, le antenne ossidate dall’aria, i balconi, i passanti, le immondizie e i topi; siamo a Napoli, in un giorno che di per sé non vuol dir nulla eppure…
<<vince il candidato voluto dal basso, la maggioranza e l’opposizione dovran rivedere le loro politiche, vince la legalità, vincono i giovani, vince Napoli>>. La radio annuncia i risultati elettorali, pochi secondi di silenzio generale,  la città attonita, quasi un mancamento globalizzato, poi vi fu un’esplosione di rumori, clacson, trombette, e tanto fracasso, ad emular per un momento quei piccoli paesini di campagna e il loro clima accogliente, ebbene si, Napoli è in festa, il nuovo arriva anche qui, il nuovo siamo in tanti a volerlo, è ufficiale, ecco cosa festeggia la città; la sua primavera. Una nuova gioia a scaldar i ventri di tutti, dopo anni di rabbia, di dolore, di sangue, di fronte a piccoli sciacalli e iene in ordine sparso, senza Stato.<<Ora il sindaco dovrà vedersela con la munnezza, ma nell’aria c’è fiducia, sotto il nostro studio vediam festeggiare, sembra quasi che dei problemi di ieri l’oggi non voglia farsi perseguitare, felici dunque facciam gli auguri al nuovo sindaco, un imbocca al lupo per il suo mandato, buona fortuna!!!>> .  Ora si siede, anche  lui come molti è commosso, solo che  qualcosa in un lui, a differenza d’altri, sta premendo per venir fuori rinfrancato dal lieto evento pronto per uscire e forte, ma d’una forza a lungo cercata tanto da non esser stata più attesa. Ha bisogno di manifestarsi, ha bisogno di trovar conferma, forse l’ultima, questo non sa, tantomeno so dir io, ma ora, presto, si veste, lo fa in fretta, ha gli occhi che vedon ben oltre il cassetto della biancheria, scava con le mani tra le calze, ne prende paia e paia, poi passa alle mutande, e continua con maglie pantaloni, felpe, sacco a pelo, non è molta roba, riempie uno zaino senza sembrar goffo. I documenti, qualche soldo, lascia il cellulare, scrive un biglietto agli amici, prende un cappello in paglia dura e va’.
Dove nessuno sa’, neanche lui.
30 Maggio 2011 i primi a preoccuparsi saranno i genitori, poi i fratelli, ed infine gli amici, e tutto avverrà in modo così graduale, così perfettamente come pensato, così fedele a quanto la mente proponga da lasciargli in volto uno scavato sorriso, che trattiene con ostinazione nel suo andare, persistente, come la sua gioia, che continua a muovere i suoi passi, procede pensando a come resteran tutti di stucco, divertito da quel suo immaginare continua ad addentrarsi nelle vite che ritiene in comunione con la sua,e già volge al pensar gli amici, già li vede a raccontar di lui alle cene negl’anni che verranno. Sente che è il suo momento, il suo grande giorno, sente che è l’inizio soltanto, fiero marcia in strada senza meta, fiero guarda i cumuli di pattume ragguagliati al ciglio della strada, fiero della sua scelta, quasi a voler urlare ai quattro venti <<finalmente!!>>. Accidenti! Pensar così tanto senza mai agire, ripetersi in quell’eterno parlarsi addosso, ebbene torna alla luce e lo fa il trenta di Maggio alle otto e trentasette minuti, tempo di reazione alla notizia: un minuto e ventidue, sua madre nel partorirlo ci mise di più.


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